Trasmissione… e la chiamavano Cvt
Da sempre la trasmissione della potenza è importante quanto la produzione della medesima. Serve a poco avere un motore efficiente, che scarica 300 e più cavalli sull’albero, se soltanto una frazione di essi arriva alle ruote.
Il compito di trasportare il moto dal propulsore al terreno è appunto la ragion d’essere della trasmissione: un comparto che ha conosciuto, in tre decenni, un progresso dirompente. Basti pensare che alla fine degli anni 80 i cambi erano ancora tutti meccanici e che il primo Vario di Fendt risale al 1995 (serie 900 Vario). In un quarto di secolo siamo sostanzialmente passati dalla leva che ingranava le marce – non sincronizzate, si noti bene – alle moderne trasmissioni a variazione continua, in cui basta spingere una cloche per passare da 0 a 50 o 60 km orari in una progressione continua. Non soltanto: grazie a una gestione elettronica che ormai fonde in un solo corpo trasmissione e generazione della potenza, la macchina lavora sempre al meglio delle sue condizioni: vale a dire con i minori consumi o, qualora richiesto dall’operatore, massimizzando le rese anche a costo di spendere qualcosa di più. O, infine, tenendo fisso il regime motore per le attività che richiedono la presa di potenza a rotazione costante.
Innovazione continua
Siamo, insomma, su un altro pianeta, rispetto al vecchio cambio con quattro marce e due retro. E dal momento che le trasmissioni a variazione continua non sono più un tabù nemmeno sotto i 150 cavalli, abbiamo deciso di dedicarvi una panoramica, limitandola ai trattori da campo aperto, per evidenziare similitudini e differenze tra le soluzioni presenti sul mercato. Ci occuperemo, principalmente, della parte hardware, ovvero di meccanica e idraulica, pur sapendo che altrettanta importanza è rivestita dal software che ne coordina l’azione. Lo prova il fatto che trasmissioni sostanzialmente identiche hanno, in campo, comportamenti molto diversi, al punto da non essere quasi riconoscibili come sorelle. Si pensi al Vario montato su Fendt o al cambio dei Massey Ferguson, per esempio, oppure alla differenza esistente tra la Cvt di Kubota e quella di un McCormick o di un Deutz-Fahr. Questo, grazie alle diverse soluzioni informatiche che presiedono al funzionamento di uno stesso modulo. Infatti, sollevando la cabina e dando un’occhiata nell’alloggiamento, troviamo sempre un cambio ZF. Il più diffuso, peraltro, nel settore agricolo.
Quattro brand, due soluzioni
Riducendo all’essenziale, vi sono quattro costruttori che producono, oggi, cambi a variazione continua. Il primo – anche in ordine di tempo – è chiaramente Fendt, che ha fatto del Vario una costante di tutta la sua gamma. Come sanno bene i lettori, oggi non c’è trattore di Marktoberdorf che non monti il celebre modulo. Abbiamo poi ZF, che è un gruppo specializzato in trasmissioni (non soltanto agricole) e vende i suoi prodotti a chiunque li richieda. Troviamo pertanto le sue trasmissioni su diversi marchi. Seguono New Holland, che deriva il suo Autocommand dal cambio a variazione continua di Steyr, e, infine, John Deere, che dichiara di costruire in casa i cambi delle serie principali. Infine, ultimo arrivato in ordine di tempo, il gruppo Sdf, con un cambio montato, per ora, sugli specialistici di Same e sulla serie 6 di Deutz-Fah
Volendo semplificare ulteriormente, tuttavia, dovremmo dire che in realtà le interpretazioni del cambio a variazione continua non sono quattro, ma due: quella del Vario Fendt, che privilegia l’idraulica, e le altre, che – chi più, chi meno – hanno una componente meccanica prioritaria. Al punto che qualcuno si spinge a dire che ZF, New Holland e John Deere producono dei cambi meccanici ad azionamento elettroidraulico, piuttosto che delle vere trasmissioni a variazione continua.
L’idraulica del Vario
Si tratta di scaramucce commerciali, in gran parte. Tanto è vero che i sopracitati costruttori sfruttano questa particolarità per sottolineare come la forte presenza di potenza meccanica riduca la dissipazione di cavalli e prevenga possibili surriscaldamenti dell’olio, con conseguente perdita di potenza. In ogni caso, qui non vogliamo dare conto di come i fabbricanti promuovono i loro prodotti, ma di come questi ultimi sono realizzati e funzionano. Partiamo, allora, proprio dal Vario, per diritto di nascita e di diffusione. Come ci dicono gli uomini di Fendt, il modulo è, dal punto di vista concettuale, lo stesso del 1995, a dimostrazione che squadra che vince non si cambia.
Sono cambiati i materiali, tuttavia, come pure le dimensioni delle pompe: quella montata 24 anni fa sul 900 Vario si usa oggi su un 200 da frutteto, per capirci. È cambiato, soprattutto, il software, che di ogni Cvt è cervello e cuore allo stesso tempo.
Vediamo, allora, questo Vario nella sua essenza. Che si concretizza in una componente idraulica e una meccanica. Con la prima rappresentata da due unità idrostatiche – aventi di volta in volta la funzione di pompa o di motore – e la seconda costituita dall’arcinoto riduttore epicicloidale, che riceve il moto dall’albero motore e lo trasmette alla pompa idraulica. Vi è poi una seconda componente meccanica, ovvero il cambio di gamma, che permette il passaggio dalla prima alla seconda velocità (rispettivamente, campo e strada). Sulle macchine più piccole, per ragioni di spazio e potenza espressa, le componenti idrostatiche sono due: una pompa e un motore. Sui 700, 800 e 900 abbiamo invece tre elementi: una pompa e due motori. La definizione è di comodo perché, come abbiamo scritto e come vedremo, ognuno di essi può funzionare come pompa o motore, a seconda della situazione. Esiste infine la variante Ta dei Fendt 1000, di cui ci occuperemo in un servizio specifico.
Torniamo alla versione standard. Il doppio motore, spiegano i tecnici di Fendt, ha un solo scopo: guadagnare spazio. I due elementi, infatti, lavorano sullo stesso albero, in sincrono e sono entrambi sempre attivi. Usando due componenti, tuttavia, si riesce a ottenere la stessa potenza con minor ingombro. La caratteristica principale del Vario è che la trasmissione di potenza si ottiene prevalentemente per via idraulica. La variazione della velocità avviene grazie alla variazione della portata della pompa e dei motori, provocata dall’inclinazione del corpo-pompa. Ruotando di 45 gradi in un senso o nell’altro, le componenti idrostatiche modificano la portata e quindi la potenza trasmessa all’albero di uscita del cambio.
Quando la pompa passa dall’inclinazione massima all’essere in asse con l’albero, aumenta la sua portata. Contemporaneamente, il motore idraulico, che riceve via via più olio, aumenta la sua inclinazione finché, raggiunto l’angolo massimo, si arresta e tutta la potenza passa per via meccanica.
La completa rotazione della pompa, inoltre, cambia il flusso dell’olio e permette di ottenere l’inversione del moto senza ricorrere a organi meccanici. In questa situazione, il motore funziona come una pompa idraulica e la pompa, di conseguenza, svolge le funzioni di motore. Pertanto, in retromarcia i Fendt 700, 800 e 900 hanno un solo motore, mentre in avanzamento ne hanno due.
«L’elemento fondamentale del Vario è la semplicità: sia concettuale, sia strutturale. Non ci sono ingranaggi, ma soltanto tre componenti, grazie alle quali si fa tutto. Questo facilita la sostituzione del cambio, in caso di problemi, e rende il Vario estremamente funzionale», ci spiegano dalla sede italiana di Fendt. Il limite di questa soluzione, non a caso evidenziato con puntualità dai concorrenti, è che una trasmissione essenzialmente idraulica del moto assorbe un certo numero di cavalli. L’impiego di motori idraulici, inoltre, rende necessario l’uso del freno-motore per rallentare rapidamente la marcia, non essendovi un forte effetto frenante da parte della trasmissione.
Altra particolarità del cambio Vario cui in Fendt tengono particolarmente è l’impiego di un circuito dell’olio separato, con serbatoio dedicato. Il che evita, ovviamente, qualsiasi rischio di contaminazione da parte di impurità esterne, ma impedisce anche che l’uso di attrezzature con forte richiesta idraulica riduca eccessivamente la quantità di olio a disposizione del cambio.
Le quattro gamme ZF
Inutile spendere parole su ZF, un colosso del settore trasmissioni che detta legge in campo automotive e anche agricolo da ormai ottant’anni. In materia di variazione continua, produce due moduli: la Eccom e la Terramatic, montate da diversi marchi di tutti i paesi. Si va dagli italiani Argo e Sdf (rispettivamente per McCormick e Deutz-Fahr) agli americani di John Deere (per la serie 6), dai tedeschi di Claas ai giapponesi di Kubota, che gestiscono il cambio con software proprietario. Ci sono poi i Quadtrac di Case IH, gli austriaci Lindner e i nuovi Nemesis della Buhler Versatile (Bvi).
Il principio di funzionamento, per tutti, è piuttosto diverso da quello del Vario Fendt, in quanto il cambio ZF dà priorità non all’idraulica, ma alla meccanica. È infatti composto da quattro gamme meccaniche formate da altrettanti riduttori epicicloidali, che si innestano per mezzo di gruppi di frizioni elettroidrauliche multidisco, cui si aggiungono un gruppo-frizione per il freno e uno per l’inversore. La componente idraulica è invece composta da una pompa e un motore. Con la differenza, rispetto a Fendt, che la variazione di portata non è data dall’inclinazione dell’intero elemento, bensì del piattello della pompa, che ruota all’incirca di 30 gradi e che in posizione 0 arresta completamente l’azione del motore idraulico.
Ne deriva che, in questa situazione, tutta la potenza è trasmessa per via meccanica, come se si trattasse di un cambio powershift. Con la differenza che, nel caso della Cvt ZF, il rapporto meccanico è sempre determinato dalla combinazione di due o più planetari e mai da uno soltanto di essi.
Conseguenza di questo principio di funzionamento è che a quattro velocità ben determinate, il cambio funziona in modalità totalmente meccanica. Indicativamente, attorno a 5, 15, 30 50 km orari. In ogni caso, sottolinea ZF, la componente di potenza meccanica è sempre almeno il 60% della potenza totale espressa. Questo perché, in ogni gamma, il piattello della pompa parte dalla massima inclinazione (massima portata idraulica) e arriva a zero (componente idraulica azzerata).
A quel punto, ruota completamente in senso inverso e si riparte da capo con la nuova gamma. Va da sé che l’inversione della direzione di marcia avviene con una gamma dedicata e non per via idraulica.
New Holland e Steyr
Il cambio a variazione continua di New Holland è arrivato sul mercato nel 2008. In precedenza, per alcuni anni i trattori del gruppo (New Holland e Case IH) montavano la S-Matic di ZF.
La soluzione casalinga nacque in Austria, presso la Steyr: marchio di trattori locale acquisito nel 1999 dal gruppo Cnh. Concettualmente, la trasmissione di Steyr/Cnh ricorda da vicino quella di ZF. È infatti formata da un elemento idrostatico e da uno meccanico: il primo è la classica combinazione pompa-motore, mentre il secondo è composto da due o quattro gamme più una o due retromarce. Nel dettaglio, sui T5e T6 abbiamo una Cvt (di recente introduzione) con due gamme e una retro, mentre dal T7 vi sono quattro gamme e due moduli per la retromarcia. Particolarità, quest’ultima, che la distingue dalle soluzioni proposte dai concorrenti.
Nella soluzione di Cnh la componente idraulica, pur minoritaria, è sempre presente. L’albero motore incontra infatti in primo luogo la parte idrostatica, che è seguita dal planetario, su cui si ingranano le gamme meccaniche. Un albero, invece, va direttamente dal planetario al codino della Pto. Il moto prodotto dal propulsore è così gestito nel solito modo da pompa e motore idraulici e si trasmette poi, tramite il planetario, alle gamme meccaniche, che si innestano in sequenza, grazie a un sistema di sincronizzataori e frizioni. È questa una delle principali differenze rispetto a ZF, che in luogo dei sincronizzatori usa frizioni a denti dritti e sensori di velocità per la gestione di innesto e disinnesto.
Anche sui cambi Cnh abbiamo, infine, tre punti di potenza quasi interamente meccanica, a 5, 15 e 45 km/h
Le tre gamme di John Deere
Tra la doppia gamma meccanica di Fendt e le quattro sincronizzate di ZF e New Holland, John Deere ha scelto una soluzione intermedia: tre gamme affiancate dalla classica unità idrostatica. Questo, però, soltanto sulle serie 7 e 8: sulla 6, infatti, anche il gruppo statunitense si affida a ZF.
Il cambio prodotto in casa, denominato Auto Powr, risale al 2001 e ha molto in comune con quello del gruppo tedesco: abbiamo infatti una unità idrostatica, composta da due elementi, e tre gamme meccaniche, più il classico inversore della direzione. Come per gli altri cambi a variazione continua che danno prevalenza alla meccanica, un ruolo fondamentale è svolto dal gruppo epicicloidale. Che, in estrema sintesi, è composto da una corona (dentata verso l’interno), un ingranaggio centrale (sole) e tre o più ingranaggi che ingranano con il sole e la corona. A seconda che il moto sia trasmesso dal sole, dalla corona o da uno o più planetari, si ottengono differenti velocità. Le quali, combinate con le tre gamme meccaniche, danno una accelerazione continua da 0 alla velocità massima. Per questo motivo, e non essendovi gamme da campo o strada, John Deere preferisce chiamare la sua trasmissione Ivt: tradotto, variazione di velocità infinita. Come per ZF, abbiamo dunque una potenza meccanica che è sempre prioritaria e va dal 60 al 100% della potenza totale. Assicurando, sostiene il costruttore, sia un ridotto assorbimento di potenza, sia un adeguato freno-motore. E l’idrostatica? Come abbiamo già visto, serve a ripartire il moto, grazie alla variazione di portata della pompa e del motore idrostatico. Da notare che i due elementi, nella progressione dei rapporti, lavorano in modo alternato come pompa o come motore, sommando o sottraendo la loro portata e agendo sull’epicicloidale per aumentare o ridurre la velocità.
Il primo Vario di Fendt risale al 1995
Altro elemento caratterizzante dell’Auto Powr è la lubrificazione forzata (non vi è cambio in bagno d’olio). In materia di olio, un ultimo accenno ai circuiti: completamente separati per il Vario, come abbiamo visto, separati ma con serbatoio comune (cambio-idraulica) per New Holland, separato con serbatoio indipendente sui McCormick X8, ma con serbatoio comune all’olio idraulico sugli X7 e X6.
La T3500 di Sdf
Anche il gruppo Sdf ha, dallo scorso anno, un proprio cambio a variazione continua. Montato per il momento, a quanto ci risulta, sulle macchine da frutteto e vigneto e sui Deutz-Fahr della Serie 6. Si tratta del T3500, che combina un motore idrostatico con un cambio powershift a doppio stadio, in modo da creare una variazione continua a doppia gamma meccanica. La prima di queste è per il lavoro in campo e raggiunge i 23 km orari, mentre la seconda copre il range tra 23 e 40 orari. Raggiunti, questi ultimi, a 1650 giri, mentre a 2200 giri si ottiene la velocità massima, che è di 53 km/h. Logica conseguenza di questa struttura è che il cambio offra una combinazione di potenza idraulica e meccanica, con due velocità in cui il trattore si muove quasi esclusivamente in trasmissione meccanica. Secondo Sdf, si hanno attorno a 11 e 37 km/h.