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Il Momento Flettente
Un altro tipo di sollecitazione molto importante è costituito dalla sollecitazione di flessione, di essa non si è finora parlato ma accennato solo brevemente. Vogliamo ora occuparcene più dettagliatamente. Si immagini un asse di legno fissata, od incastrata, ad una delle sue estremità, senza alcun altro appoggio sulla rimanente lunghezza. Un tale asse può costituire, ad esempio, un trampolino per fare i tuffi in una piscina. Quando viene caricata (ad es. quando il nuotatore vi sale sopra), essa si piega verso il basso fig. (*).
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Poiché l’asse viene piegata ossia inflessa per effetto del carico, si dice che “essa viene sollecitata alla flessione”. Un’asse che sia troppo sottile, o che porti un carico troppo elevato, si spezza. Se essa però è sufficientemente robusta, non si rompe ma, dopo essere stata abbandonata dal nuotatore che ha compiuto il tuffo, ritorna nella sua posizione iniziale. Compito del progettista è quindi di dimensionare tali elementi sollecitati a flessione, in modo che non si rompano per effetto delle sollecitazioni alle quali si prevede saranno sottoposti. Un trampolino per tuffi, ad esempio, deve avere sufficiente spessore e sufficiente larghezza. Non va però costruirlo troppo spesso o troppo largo, perché allora esso non molleggerebbe e non servirebbe quindi al suo scopo. Mentre nel caso del trampolino per tuffi si vuole che esso, sotto il carico, molleggi, cioè subisca un’inflessione, nel caso di elementi di strutture sollecitati a flessione (a meno che non si tratti di organi elastici) si devono calcolare le dimensioni in modo, che non si verifichi nessuna inflessione o incurvatura. D’altra parte le dimensioni non debbono essere eccessive, perché ciò costituirebbe uno spreco di materiale, che renderebbe inutilmente più elevato il costo. Non si devono quindi costruire gli elementi di una struttura troppo deboli, per ragioni di sicurezza, ma neppure troppo robusti, per ragioni di economia. È perciò necessario che si sappia calcolare con esattezza quali sono le dimensioni più convenienti per i singoli elementi della struttura. È necessario aggiungere ora alcune altre considerazioni a proposito dell’esempio a cui ci si è prima riferiti: Quanto più il trampolino si inflette, tanto più è sollecitato alla flessione, e tanto maggiore quindi è il pericolo della rottura. L’ampiezza della flessione dipende dai due fattori seguenti:
1) dalla intensità del carico. L’asse infatti si piega tanto più, quanto maggiore è il carico.
2) dalla distanza del carico dal punto di incastro A fig.(*). La flessione massima dell’asse si ha, quando il carico è situato alla estremità B; l’asse si piega tanto meno, quanto più il carico è vicino ad A. (Ciò riuscirà chiaro confrontando fra di loro le fig. (*a) e (*b).
In altri termini chiunque ha certamente constatato, nel tentativo di spezzare un ramo di una albero, che la riuscita non dipende solo dallo sforzo esercitato, ma anche dal punto nel quale il ramo viene afferrato. Se ora si riuniscono i due fattori, da cui dipende l’intensità della flessione (e cioè l’intensità del carico e la sua distanza dall’appoggio o incastro) in una sola grandezza, che si definisce “momento flettente“. Si a che:
Momento flettente = Forza moltiplicata Distanza
Poiché il momento flettente interverrà molto frequentemente nei calcoli per dimensionare le strutture, e sarebbe perciò scomodo ripetere sempre per esteso tale espressione, in futuro verrà indicato sempre brevemente con la lettera M (iniziale della parola “momento”). Il carico o la corrispondente forza saranno sempre indicati con la lettera P o F (iniziale della parola “peso” o “forza”). Per la distanza del carico dall’appoggio o incastro si userà l’abbreviazione a, e per la lunghezza dell’asse, o della trave, la lettera l. La formula che dà il momento flettente sarà quindi la seguente:
Se l’asse del trampolino, a causa di un sovraccarico, si rompe, il punto di rottura, supposto che l’asse non presenti nessun difetto e nessuno indebolimento sulla sua lunghezza, si troverà sempre vicinissimo all’appoggio, cioè al punto di incastro A fig.(*). In tale punto il momento flettente ha il valore massimo; in ogni altro punto dell’asse, il valore del momento flettente è minore, poiché esso è dato dal prodotto del carico per una distanza minore, che non quella del punto A. Il massimo momento flettente (che si indica con Mmax) si ha quindi, in ogni caso, nella posizione A; in tale posizione avviene sempre anche, come si sa dalla esperienza, la rottura. Quindi in tale posizione si ha la sezione più pericolosa. Ne deriva il seguente principio, che va tenuto sempre presente:
La sezione pericolosa di una parte di struttura o di costruzione è situata nel punto dove il momento flettente è massimo.
Quando si deve calcolare una parte di struttura o di costruzione sollecitata alla flessione, bisogna sempre considerare nel calcolo il momento flettente massimo (Mmax), il quale si verifica sempre nella sezione più pericolosa. Nelle parti o travi che sono incastrate ad una delle due estremità, mentre l’altra estremità è libera, la sezione più pericolosa corrisponde alla sezione di incastro, cioè a quella dove la parte, o la trave è incastrata. Prima di eseguire dei calcoli di momenti flettenti con degli esempi pratici, bisogna riflettere un momento, per comprendere con quali unità di misura venga misurato il momento flettente. Nella formula dinnanzi scritta, il momento M = P · a viene ottenuto dal prodotto di una forza per una lunghezza. Ad esempio, viene eseguito il prodotto di 150 kg per 100 cm. Va perciò eseguito il seguente calcolo:
Il prodotto di una grandezza misurata in kg per un’altra, misurata in cm, viene misurato con una nuova unità di misura, e precisamente in kgcm, che si legge: “chilogrammi-centimetri”. Che nella moltiplicazione di due grandezze di genere diverso non sia sufficiente indicare solo il prodotto dei valori numerici (nell’ esempio 150 x 100 = 15000) risulta chiaramente dalla seguente considerazione: Poiché 100 cm = 1 metro, si può anche scrivere:
Quindi 15000 kgcm (chilogrammi-centimetri) è lo stesso momento flettente espresso da 150 kgm (chilogrammi-metri), sebbene i valori numerici siano diversi. L’uguaglianza o la disuguaglianza di momenti flettenti si può quindi constatare solo quando sono indicati, non solo i valori numerici, ma anche le unità di misura. Quali unità di misura per i carichi e le lunghezze, e quindi per i momenti flettenti, sia conveniente scegliere, dipende dalla natura dei singoli esempi considerati. La scelta avviene in modo che il calcolo risulti semplice, e con valori numerici non troppo elevati. Pertanto, le unità di misura per i momenti flettenti sono il kgm, il kgcm, kNm, kNcm …. ecc. Quindi bisogna stare attenti di non cadere nell’errore, in cui spesso si incorre, di scrivere tali unità di misura come segue kg/m, kg/cm, ecc. Il significato di queste abbreviazioni è molto diverso, e verrà spiegato in seguito; infatti, queste ultime abbreviazioni possono essere impiegate per i momenti flettenti solo da chi non sa che cosa è propriamente un momento flettente. Detto ciò, si svolga adesso il primo esempio pratico per il calcolo del momento flettente per una trave a sbalzo. Si prende come primo esempio pratico una trave a sbalzo lunga cm 50 = m 0,50 (l = m 0,50) che viene caricata alla estremità libera con una forza di 100 kg
Si calcolano i momenti flettenti che si verificano nelle posizioni indicate nella fig.(*) con la lettera A e con le cifre da 1 a 4; questi punti sono distanti tra di loro cm 10 (m 0,10). Nella fig. (*), come pure nelle seguenti, la trave a sbalzo è indicata con un segmento rettilineo disegnato con tratto di forte spessore, e l’incastro della trave nella posizione A, con una piccola zona tratteggiata. Si calcola anzitutto il momento massimo, cioè il momento flettente all’incastro A; si ha che:
oppure anche
Ora si calcolano i momenti flettenti negli altri punti indicati della trave a sbalzo. Nel punto 1: la distanza a della forza P dal punto 1 è di 40 cm, cosicché:
Nel punto 2 : a = 30 cm
Nel punto 3 : a = 20 cm
Nel punto 4 : a = 10 cm
Da questi risultati appare chiaramente che il momento flettente presenta il valore massimo nel punto di incastro, poiché questo è il punto più distante dalla forza. La distanza della forza dai punti nei quali si deve determinare il momento flettente viene anche detta “braccio della forza“, o “braccio di leva“, poiché la forza tende, come una leva, a far ruotare la trave attorno a tale punto. Per non dover sempre ripetere la frase: “momento flettente nella posizione, o nel punto ….”, si precisa la posizione per la quale si calcola il momento flettente scrivendo una lettera o una cifra dopo la lettera M, in basso; tali cifre o lettere aggiunte in basso ad una altra lettera si chiamano “indici”. Ad esempio: MA (si legge: “M con A”) indica il momento flettente nella posizione A; M2 (si legge: “M con 2”) indica il momento flettente nella posizione 2, ecc. Osservazione: Il significato delle superfici tratteggiate disegnate sotto alla trave, nelle figure da (*) a (*), verrà spiegato in seguito. Si svolga adesso un secondo esempio pratico.
Si calcolano i momenti flettenti nella trave a sbalzo rappresentata nella fig. (*). Come è facile notare, questo secondo esempio differisce dal primo solo per il fatto che lo forza invece che di 100 kg è di 50 kg. Soluzione:
I risultati, evidentemente, in questo secondo esercizio, sono rispettivamente uguali, in valore, alla metà di quelli del primo esercizio. Ciò deriva dal fatto che la grandezza del carico, applicato sempre nello stesso punto, è la metà di quello del primo esempio. Si Calcolano adesso i momenti flettenti nella trave a sbalzo rappresentata nella fig. (*), nei diversi punti indicati. Questo esempio si distingue da quello descritto nel primo esempio per il fatto che il carico di 100 kg è ora applicato nel punto 3.
La distanza della forza P dal punto A è ora solo di cm 30. Si hanno perciò i seguenti momenti flettenti:
Se si vuole calcolare il momento flettente nel punto 3, cioè nello stesso punto in cui è applicato il carico, si nota che, in tale caso, la distanza della forza dal punto nel quale si vuole calcolare il momento flettente è uguale a 0. Infatti se si applica la formula che dà il momento flettente. Si ottiene:
Poiché moltiplicando un numero per 0 si ottiene 0. Nella sezione corrispondente al punto 3 non si ha quindi alcun momento flettente. Si provi ora a calcolare i momenti flettenti nelle sezioni disposte fra il punto 3 e il punto B. In tutte le sezioni della trave comprese fra tali punti il momento flettente è sempre uguale a 0, poiché, a partire dal punto 3, verso B, non c’è nessuna forza che agisce sulla trave. Nei tratti della trave dove non si ha momento flettente, non si verifica neppure alcuna inflessione della trave; questa assumerà quindi la forma che è stata, in modo appositamente esagerato, rappresentata nella fig. (*). Dal punto A al punto 3, la trave risulta incurvata, mentre dal punto 3 al punto B, la trave rimane rettilinea, poiché in tale tratto non si ha alcun momento flettente. Si veda un ulteriore esempio, si debbano calcolare i momenti flettenti in una trave a sbalzo, sulla quale sono applicati due carichi fig. (*).
Quando sulla trave a sbalzo agiscono più forze, col metodo che è stato finora impiegato bisogna calcolare i momenti flettenti, dovuti ad ognuno delle forze, e quindi sommarli fra di loro. Nella sezione corrispondente al punto A, per effetto della forza di 40 kg, applicata ad una distanza di 50 cm si ha il momento flettente 40 kg · 50 cm = 2000 kgcm; e per effetto della forza di 60 kg applicata alla distanza di cm 30, il momento flettente 60 kg · 30 cm = 1800 kgcm. Il momento flettente complessivo nella sezione A sarà dunque:
In modo analogo si trovano i momenti flettenti negli altri punti:
Il momento flettente nel punto 3, dovuto alla forza di 60 kg, è quindi uguale a 0, perché la distanza della forza dal punto suddetto è uguale a 0.
nella estremità libera della trave, il valore del momento flettente è, in ogni caso, uguale a 0, poiché in tale punto la distanza è sempre 0.
Il diagramma del momento flettente
Negli esercizi è stata, sotto la trave a sbalzo, disegnata una superficie triangolare tratteggiata. La grandezza di un momento flettente si può rappresentare, anche graficamente, mediante un segmento di lunghezza proporzionale. Per scegliere la lunghezza proporzionale del segmento rappresentante il momento flettente, ci si regolerà secondo lo spazio disponibile sul foglio da disegno. Affinché i disegni dei momenti, non risultino troppo grandi, si è fissato che un momento flettente di 500 kgcm sia rappresentato da un segmento lungo 1 mm. Un momento flettente di 1000 kgcm sarà dunque rappresentato da un segmento lungo 2 mm, ed uno di 5000 kgcm sarà rappresentato da un segmento di 10 mm. Si osservi ora attentamente la superficie triangolare disegnata inferiormente nella fig. (*). Essa è stata ricavata riportando normalmente alla retta A-B; nei punti situati esattamente al di sotto dei punti A, 1, 2, 3 e 4 della trave, dei segmenti di lunghezza rispettivamente proporzionale ai momenti flettenti che si hanno nei punti stessi. Nel punto A il momento flettente è 5000 kgcm; si porta quindi, dal punto A della retta A-B, un segmento perpendicolare lungo 10 mm. Nel punto 1 il momento flettente è di soli 4000 kgcm; il segmento normale alla retta A-B, che lo rappresenta, sarà quindi lungo 8 mm. Si Procede nello stesso modo per i punti 2, 3 e 4. In B, il momento flettente è uguale a 0; esso sarà quindi rappresentato da un segmento di lunghezza nulla, cioè da un punto. Collegando ora le estremità dei segmenti perpendicolari ad A-B, fino ad ora riportati, si ottiene la superficie triangolare, che prende il nome di “diagramma dei momenti flettenti“. Per rendere più evidente tale diagramma il tratteggio è stato eseguito normalmente alla linea di base. I momenti flettenti vengono dunque rappresentati in una determinata scala, e precisamente nella scala dei momenti flettenti. Poiché la linea che rappresenta la trave viene disegnata in una determinata scala delle lunghezze, nel disegno di un diagramma dei momenti si debbono distinguere due scale: la scala delle lunghezze e la scala dei momenti. Queste scale si devono indicare sul foglio del disegno, possibilmente vicino al diagramma dei momenti. Nei primi tre esercizi svolti si è fissato che una lunghezza di 10 mm = 1 cm rappresenti un momento flettente di 5000 kgcm. Questa scala viene indicata nel disegno nel modo seguente:
Scala dei momenti 1 cm ≈ 5000 kgcm.
Il segno (≈) significa in questo caso “corrisponde“. L’indicazione precedente si legge quindi: “un 1 cm corrisponde a 5000 kgcm”. Nell’ultimo esercizio svolto la scala dei momenti è: 1 cm ≈ 2000 kgcm. Nello stesso modo con cui si è tracciato il diagramma dei momenti nella fig. (*), si disegna anche quello delle fìgg. *, * e *. E’ necessario capire come questi diagrammi si costruiscono; verificando le loro dimensioni in scala. I diagrammi dei momenti flettenti vengono impiegati frequentemente, perché da essi si rileva facilmente la distribuzione delle sollecitazioni in una trave e, fra l’altro, la posizione nella quale il momento flettente è massimo; cioè dove si ha la sezione più pericolosa (negli esempi svolti, in cui sono state sempre considerate delle travi a sbalzo, la sezione più pericolosa è sempre situata nella posizione A).
Che cosa si intende precisamente per “Statico”?
Chiunque si è certamente chiesto in che consista la Statica e quale sia il suo scopo. Nelle pagine precedenti si è detto che compito del progettista è di stabilire le dimensioni degli elementi delle strutture, in modo che questi siano capaci di resistere alle sollecitazioni alle quali saranno sottoposti, cosicché non siano troppo robusti, per evitare spreco di materiale, ma allo stesso tempo neppure troppo deboli, perché altrimenti essi andrebbero incontro al pericolo di rottura. Per stabilire le dimensioni necessarie e più convenienti è indispensabile conoscere esattamente le forze che agiscono sulle parti di strutture. La Statica ha appunto lo scopo di determinare queste forze, come pure i loro effetti (ad es. i momenti flettenti). Il vocabolo “Statica” deriva dalla parola greca “Stasis” = stato di quiete. Da ciò si intuisce quale è il significato della parola “statica”: essa si occupa solo di quelle forze che non provocano alcun movimento delle parti di una struttura considerata; che non la fanno, ad esempio, né ruotare, né vibrare, ma che la mantengono in equilibrio, allo stato di quiete. Si può quindi definire la Statica come la “Scienza dell’equilibrio“. Dalla esperienza sappiamo che le forze possono imprimere dei movimenti ai corpi, spostarli, farli ruotare o vibrare. Questi effetti delle forze non sono studiati dalla Statica; di essi si occupa un’altra scienza, la Dinamica. Anche questa parola deriva da un vocabolo greco, cioè da “Dynamis” = forza in movimento. Si dice perciò che la Dinamica è la “Scienza delle forze in movimento“. La Statica e la Dinamica si distinguono quindi per il genere di forze da esse studiate, e precisamente secondo l’effetto prodotto dalle forze. Ciò riuscirà chiaro, se si esamina ancora l’esempio del trampolino: Quando il nuotatore si mantiene fermo sul trampolino, egli esercita sulla tavola una forza statica (uguale al peso del suo corpo). Si genera un momento flettente, che, come si è visto, è nullo alla estremità libera della tavola ed è massimo invece nella sezione di incastro. Finché il nuotatore si mantiene fermo, anche la tavola, dopo essersi alquanto incurvata, si mantiene in una determinata posizione. Si stabilisce cioè un equilibrio tra la forza di reazione all’incastro ed il carico costituito dal peso del nuotatore. In altre parole si dice che si ha uno stato di equilibrio statico. Se il nuotatore non si mantiene fermo, ma si muove, facendo oscillare la tavola, egli non esercita più una forza statica, ma una forza dinamica, cioè una forza che provoca il movimento di un corpo (della tavola). L’equilibrio, che quindi si aveva precedentemente, non sussiste più; la tavola si mette ad oscillare con ampiezze sempre maggiori. Quando le forze dinamiche raggiungono un certo valore, l’asse del trampolino si rompe vicino al punto di incastro. Finora si è parlato solo dei momenti flettenti provocati da una forza statica. Vi sono però anche dei casi in cui gli elementi di una struttura sono soggetti a sforzi di trazione o di compressione. Si è visto già attraverso lo studio che riguarda la Resistenza dei Materiali, come le forze esterne agiscano sugli elementi delle strutture, quali forze interne (resistenti) esse suscitino, quali tensioni determinino nel materiale è come infine si calcoli la grandezza delle sezioni degli elementi strutturali, in base alle sollecitazioni unitarie. È infatti compito della scienza concernente la resistenza dei materiali di determinare le dimensioni degli elementi delle strutture in base alle forze ed ai momenti determinati per mezzo della Statica. In tutti i problemi di cui la Statica si occupa, i corpi vengono considerati come se fossero perfettamente rigidi (non cedevoli). Per “corpo rigido” si intende un corpo la cui forma non varia per effetto delle forze che agiscono su di esso. In realtà non vi è alcun corpo che sia perfettamente rigido, perché tutti, più o meno, subiscono una variazione di forma per effetto dei carichi a cui sono sottoposti. In generale però le variazioni di forma, o deformazioni, sono così piccole da potere essere trascurate. Quando ci si occupa di problemi statici, cioè della determinazione delle forze che agiscono su un elemento di struttura, si considera inizialmente l’elemento della struttura senza badare alle dimensioni ed alla forma delle sue sezioni ed al materiale di cui è costituito. Non ci si preoccupa cioè, da principio, di sapere se si tratta di una trave di cemento armato, acciaio o di legno; si considera solo una asta rigida, di cui ci interessa solo l’asse di mezzeria. Per questa ragione, nelle figg. da (*) a (*), sono state rappresentate le travi con dei segmenti rettilinei disegnati con doppio tratto ravvicinato a forte spessore, cioè si sono rappresentati solo gli assi. Solo dopo che i problemi statici sono stati risolti, cioè dopo che sono stati determinati tutti gli sforzi ed i momenti che agiscono su una trave, ci si occupa della forma delle sezioni trasversali di tale trave e della natura del materiale che costituisce la trave stessa; ciò però, come è stato già detto, è un argomento che riguarda la “Resistenza dei Materiali“. Quindi, da quando fin qui è stato detto, la statica si occupa delle forze che mantengono una struttura o costruzione allo stato di riposo e di equilibrio. Evidentemente bisogna adesso esaminare quali sono le condizioni che debbono essere soddisfatte, affinché si abbia uno stato di equilibrio statico. Verranno trattate quindi, qui di seguito, le regole fondamentali della Statica, cioè le cosiddette “condizioni di equilibrio“, la cui conoscenza è la base di ogni calcolo degli elementi strutturali di una costruzioni. Si è già visto che l’effetto di una forza (carico) non dipende solo dalla sua grandezza o intensità, ma anche dalla posizione e della direzione in cui essa agisce. Una forza di 50 kg, ad una distanza di 10 cm da un determinato punto, ha lo stesso effetto di una forza di soli 5 kg, ma che agisce ad una distanza di 100 cm dal medesimo punto. In entrambi i casi la forza produce un momento di rotazione di 500 kgcm. Ciò può riuscire molto chiaro considerando l’asse di una altalena bascullante fig. (*). Ad ogni estremità dell’asse è applicato un carico (ad esempio una persona) e precisamente ad una distanza di m 2,00 dal centro di rotazione D.
Entrambi i carichi sono di uguale grandezza, e precisamente ognuno di essi uguale a 50 kg. L’asse della altalena bascullante è allora in equilibrio, cioè essa non si muove, finché non riceve un urto. Per lo stesso motivo anche una bilancia si trova in equilibrio, quando sui due piatti sono posati dei pesi uguali. Si osservi guardando la fig. (*), le distanze dei carichi dal centro di rotazione sono misurati dal centro dei corpi pesanti che determinano il carico, al centro di rotazione. Nei calcoli statici si immagina cioè che i carichi siano sempre concentrati nei baricentri o centri di gravità dei corpi, che realizzano i carichi stessi; in generale il baricentro o centro di gravità coincide con il centro geometrico del corpo pesante. Per tale ragione le distanze dei corpi pesanti dal centro di rotazione sono state misurate dai centri geometrici dei corpi stessi. Detto ciò, se adesso, sulla estremità sinistra dell’asse della altalena bascullante, aggiungiamo un altro carico di 50 kg, come è indicato nella fig. (*), l’asse della altalena bascullante non si trova più in equilibrio.
Anche una semplice trave a sbalzo può paragonarsi ad un asse di altalena bascullante. Oltre alla importanza pratica delle sue numerose applicazioni, un asse oscillante attorno a un fulcro, come quella di una altalena bascullante, possiede un’altra caratteristica che merita tutta la nostra attenzione. Essa si presta cioè a rendere molto chiare le condizioni di equilibrio, specialmente quelle riguardanti i momenti di rotazione, condizioni di equilibrio che ognuno di noi ha avuto occasione di verificare sperimentalmente, e che non risultano in modo altrettanto chiaro in qualsiasi altro tipo di costruzione. Nella trattazione svolta fino a qui si è immaginato che le masse che entrano in gioco sull’asse della altalena bascullante siano stati sostituiti da forze; si è cosi considerato un gioco di forze, che ci faciliterà in seguito la comprensione di tanti altri problemi della Statica. Dopo avere studiato le condizioni di equilibrio in un asse di altalena bascullante, risulterà infatti molto più chiaro il gioco delle forze su altri elementi costruttivi, dove esso è meno facile da individuare. Nello studiare ogni struttura portante bisogna anzitutto porsi sempre la seguente domanda: Quali sono le condizioni per le quali questo elemento costruttivo si trova in equilibrio? Si esamina subito un caso, che ci è già noto ovvero il caso del trampolino per i tuffi, come ve ne sono nelle piscine da nuoto; esso è appoggiato sopra un muro e sporge per una lunghezza pari a 5 volte la lunghezza della parte appoggiata sul muro. L’asse del trampolino è caricato con la forza P; precedentemente si è detto che essa era fissata in qualche modo al suo appoggio. Che cosa succederebbe se l’asse fosse invece semplicemente appoggiata sul muro? È evidente che essa farebbe un tuffo nell’acqua della piscina ed il nuotatore, non solo non potrebbe mettere piede sulla sua estremità a destra, ma neppure arrivare al centro dell’asse stessa. L’asse deve dunque essere fissata al suo appoggio. In pratica questo fissaggio si esegue nel modo indicato nella fig. (*) si dispone cioè, alla estremità sinistra dell’asse, un ancoraggio bullonato che unisce solidamente l’asse del trampolino con il muro.
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