http://www.ansa.it/motori/notizie/rubriche/news/2013/06/06/motore-scoppio-nasceva-160-anni-fa-Firenze_8829626.html
Se l'auto ha compiuto, in 127 anni, passi da gigante lo si deve ad una coppia di 'inventori' italiani, Barsanti e Matteucci. Contrariamente a quanto si crede, infatti, la creazione del primo motore a quattro tempi - quello di Nikolaus Otto che, associandosi a Karl Benz, porto' alla nascita del Benz Velociped datata 1886 - e' la conseguenza della scoperta di un insegnante di fisica di Pietrasanta, Padre Eugenio Barsanti, e degli sviluppi realizzati assieme ad un ingegnere di Lucca, Felice Matteucci. Infatti il 6 giugno 1853, ben 14 anni prima rispetto al brevetto di Nikolaus Otto, Eugenio Barsanti e Felice Matteucci depositano all'Accademia dei Georgofili di Firenze (non esisteva ancora un ufficio brevetti) un documento con la descrizione dell'invenzione del primo motore a scoppio della storia.
Dieci anni prima di questa 'ufficializzazione' Barsanti aveva scoperto durante un esperimento nella sua aula del collegio San Michele di Volterra la possibilita' di trasformare uno scoppio (in quel caso infiammando del gas) in forza meccanica. Dalla collaborazione con Matteucci venne sviluppata una 'macchina' capace di ripetere ciclicamente questa trasformazione ed ottenere cosi' una costante erogazione di forza meccanica. Il motore, frutto dello sviluppo del progetto, nell'intento dei due inventori toscani avrebbe dovuto servire da propulsore del battello ''Il veloce'' della Compagnia di navigazione Lariana di Como. Ne vennero costruiti due collaborando con due diverse fonderie. Il primo da 20 Cv non fu in grado di fornire il comportamento richiesto, il secondo da 8 Cv ebbe un discreto successo - come riporta un articolo de La Nazione pubblicato nel 1863 - tanto da portare alla nascita nel 1859 della 'societa' anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci'. Negli anni che seguono pero' solo i motori di Jean Etienne Lenoir (datato 1860) e di Nikolaus Otto e Eugen Langen (del 1867) ottengono ampia fama e sono ricordati come pietra miliare nello sviluppo dell'automobile. Primo fra tutti quello conosciuto con il nome di Ciclo Otto dell'omonimo ingegnere tedesco che deposito' il brevetto del primo motore a quattro tempi nel 1886. Ma gli stessi studi erano stati compiuti e pubblicati, nel 1862, dall'inventore francese Alphonse Beau de Rochas, il quale non aveva fatto altre che aggiungere la fase di compressione al motore di Barsanti e Matteucci
Padre Eugenio Barsanti e l’ingegner Felice Matteucci cominciano a lavorare insieme nel 1851. Intendono realizzare un motore più pratico della macchina a vapore, che utilizzi l’esplosione di una miscela gassosa per produrre movimento. Nel 1853 costruiscono il primo motore a scoppio. In assenza di un Ufficio Brevetti nazionale, per tutelare la priorità dell’invenzione depositano una memoria alla prestigiosa Accademia dei Georgofili. Nel 1854 ottengono a Londra una prima certificazione, a cui seguono brevetti in diverse nazioni europee. Nel corso degli anni continuano a migliorare il motore, sviluppano vari modelli e li depositano. Fondano una Società e realizzano i loro dispositivi presso importanti officine meccaniche italiane ed estere.
Nonostante i documenti sulla priorità dell’invenzione, la sua superiorità tecnica e il riconoscimento ricevuto dagli ambienti specializzati, solo i motori di Jean Etienne Lenoir (1860) e di Nikolaus Otto e Eugen Langen (1867) ottengono ampia fama. Oggi il ruolo di Barsanti e Matteucci è riconosciuto a livello internazionale.
Questo modello riproduce il primo esempio di motore a combustione interna usato per azionare macchine utensili. È impiegato per la prima volta nel 1856 nelle Officine della Stazione ferroviaria Maria Antonia di Firenze su una forbice e un trapano
Il motore a scoppio è un motore di tipo alternativo quindi volumetrico poi chè il ciclo termodinamico avviene in un volume definiti detto CILINRATA.
Nel 1854 Eugenio Barsanti e Felice Matteucci ( fisico ) brevettarono e costruirono il primo motore a combustione interna che abbia mai funzionato. Fin dal 1851 tra i due studiosi inizia, oltre che un rapporto di amicizia, una collaborazione professionale nel campo tecnico scientifico. Le prime esperienze furono eseguite con un cilindro in ghisa munito di stantuffo e di valvole che permise di studiare gli effetti del miscuglio detonante di ossigeno e idrogeno, aria e idrogeno, aria e gas luce. Questi esperimenti servirono anche a capire, oltre al comportamento dello stantuffo, il problema dell'espulsione dei gas di scarico prodotti dalla combustione. L'accensione della miscela avveniva o con scintilla elettrica o piccola fiammella di gas, soluzione quest'ultima presto abbandonata a favore della prima. Da tali esperimenti dedussero che la forza prodotta dalla rapida combustione dava una forte spinta allo stantuffo, che non arrivava però alla fine della corsa se non in due casi:
Carica di gas molto elevata
Stantuffo il più possibile libero durante la corsa di andata
Notarono inoltre che quando lo stantuffo arrivava a "fine corsa" ritornava poi spontaneamente e velocemente indietro. Dedussero quindi che ciò era dovuta alla condensazione dei gas che producevano un vuoto e conclusero che era la pressione atmosferica a far si che il pistone tornasse indietro. Si trattava di un motore verticale a stantuffo libero: lo scoppio, all’interno della camera di combustione, avveniva attraverso una miscela di aria e gas illuminante; ciò, proiettava il pistone in aria e per effetto, della depressione che si generava all’interno del cilindro,lo stantuffo ridiscendeva con un movimento controllato da uno speciale dispositivo a dentiera. Attraverso questi procedimenti, si compiva la così detta corsa motrice.
Sotto è riportata una immagine del motore di Eugenio Barsanti e Felice Matteucci.
Successivamente, nel 1860,il francese Lenoir costruì il primo motore a combustione interna che ebbe applicazioni industriali. Era un motore detto a doppio effetto cioè con distribuzione a cassetto in cui la miscela , costituita da aria e gas illuminante, veniva aspirata dal pistone ( all’interno della camera di combustione ) per circa metà corsa, successivamente, si accendeva una scintilla elettrica la quale incendiava il combustibile che a sua volta spingeva lo stantuffo per la seconda metà della corsa compiendo così un giro utile.Il suo rendimento era del 4% e ciò rese notevole la diffusione di tale motore
Nel 1866 i tedeschi E. Langen e A. Otto costruirono un motore verticale a stantuffo libero, analogo a quello di Barsanti e Matteucci, ma alquanto differente per alcuni accessori come lo speciale innesto tra l’albero motore ed il rocchetto il quale controllava il movimento dello stantuffo.
Questo motore Sostituì ben presto il motore inventato da Lenoir per il minor consumo di combustibile ed un rendimento pari al 12% nonostante le enormi dimensioni di ingombro e le violente vibrazioni che trasmetteva alle strutture di sostegno. Nel 1860 il francese Beau de Rochas ideò il il ciclo a quattro tempi secondo il quale in quattro corse del pistone, all’interno del cilindro si dovevano effettuare le seguenti operazioni:
* 1° cosa: aspirazione della miscela
* 2° corsa: compressione
* 3° corsa: accensione al punto morto e successiva espanzione dei prodotti di combustione ( scoppio )
* 4°corsa: scarico dei gas combusti
Tale ciclo di funzionamento è ancora oggi usato nei motori a quattro tempi.Nel 1877 il tedesco A.Otto costruì il primo motore a quattro tempi che ebbe un notevole successo, segnalando l’inizio della moderna costruzione industriale dei motori a combustione interna. Successivamente, nel 1879, l’inglese D. Clerk ideò e costruì il primo motore in cui venne realizzato il ciclo a due tempi, così detto perché si svolge in due sole corse del pistone. Quasi al termine della corsa motrice, il pistone, scopre una serie di feritoie praticate sulla superficie del cilindro attraverso le quali si scarica la maggior parte dei gas combusti prima che il pistone arrivi al punto morto inferiore. Nel frattempo, da altre feritoie, entra nel cilindro un getto di miscela che, prendendo il posto dei gas combusti residui, effettua il lavaggio del pistone e riempie il cilindro che così è pronto per compiere un nuovo ciclo.
Successivamente, nel 1882 , il Prof. Enrico Bernardi, anticipò di ben due mesi a Karl Benz e Gottlied Dailmer l'invenzione del motore a scoppio che sfruttava come combustibile la benzina, un derivato del petrolio. La " Motrice Pia ", dal nome nome della figlia del Bernardi, è l'anello di congiunzione tra le macchine a vapore( esotermiche )ed i motori a scoppio( endotermici ) ove, letteralmente, il fuoco è portato nel cilindro motore per ottenere la trasformazione del calore in lavoro. Il motore di Bernardi è un motore alternativo di tipo atmosferico in quanto non è prevista la fase di compressione e funziona a ciclo Etienne Lenoir a due tempi.Le tre fasi di aspirazione, scoppio e scarico vengono effettuate in due corse del pistone, in un solo giro dell'albero a manovella. La distribuzione avviene con valvole a cassetto, come nelle locomobili a vapore (da qui la parentela) e accensione a fiamma viva.
Il suo funzionamento, esemplificando, inizia con la prima fase di aspirazione, quando il pistone allontanandosi dal PMS crea una depressione nel cilindro che aspira la miscela aria-benzina solo sino a meta' corsa. Seconda fase: scoppio; a metà corsa, verso il PMI la carica esplosiva aspirata, viene accesa dalla fiamma attraverso la bocca d'accensione e ne provoca lo scoppio. Terza fase: scarico; superato il PMI il pistone espelle, nella corsa di ritorno al PMS, i gas inerti.
Il carburatore e' parte integrante del motore e fa da supporto di base. E' un carburatore a superficie ove l'evaporazione e' attivata dal calore del tubo di scarico, compensando automaticamente il raffreddamento della miscela.
La "motrice Pia" ha un alesaggio di 44mm ed una corsa di 80,5mm pari ad una cilindrata di 122,402cc a 200 giri al minuto con 0,024 CV. Venne usata per azionare macchine da cucire e piccole operatrici e, cosa molto importante, per motorizzare il triciclo giocattolo del figlio Lauro nell'anno 1884. E' il primo veicolo semovente al mondo con motore a benzina.
Sotto è riportata la foto della " Motrice Pia " di Enrico Bernardi.
Nel 1885, Bernardi, costruì un motore a quattro tempi denominato " Lauro " dal nome di suo figlio.La concezione di tale motore e' così avanzata che le sue caratteristiche sono oggi ancora attuali: e' un monocilindrico orizzontale con alesaggio e corsa di 85x110 mm, pari alla cilindrata di 624,195 cc. Ha una potenza di 2,5 hp a 800 giri al minuto, con distribuzione a valvole in testa comandate da un'asta con bilanciere doppio e valvola d'aspirazione ad alzata variabile. L'accensione sfrutta un "accenditore" a rete di platino che utilizza la proprietà catalitica di arroventarsi in presenza dell'idrogeno contenuto nella miscela carburata. All'atto della messa in moto viene utilizzata una peretta di gomma per attivare il flusso della miscela prima dell'effetto pompante del pistone.
Il prof. Bernardi preferì tale accensione a quella elettrica a mezzo del rocchetto di Ruhmkorff , data la scarsa autonomia delle pile dell'epoca. Il raffreddamento è a liquido con radiatore a tubetti e circolazione attivata dai gas di scarico. La lubrificazione viene assicurata a tutte le parti in movimento da un distributore rotativo d'olio.
Il motore inoltre è dotato di filtro per la benzina e per l'aria, ha un silenziatore allo scarico ed un regolatore centrifugo della velocità di rotazione.
Il motore "Lauro" è il più vicino alla realizzazione pratica del ciclo termico a volume costante con elevato rendimento e contenuto consumo di benzina, paragonabile a quello dei motori odierni.
Con il passare degli anni, Rudolf Diesel, nel tentativo di evitare e superare i problemi di accensione del motore a combustione interna, brevettò nel 1893 un suo motore nel quale l' accensione, invece che determinata da una scintilla, veniva provocata aumentandone la pressione.Per prima cosa Diesel dovette eliminare la benzina e passare a combustibili meno volatili e più facilmente accendibili come i distillati più pesanti del petrolio ( oggi chiamati gasolio ), gli oli vegetali ( compreso quello di oliva ) e, infine, la polvere di carbone. Anzi, fu proprio quest'ultima che gli permise di costruire e far funzionare il suo motore, poichè all'epoca non erano disponibili pompe di iniezione capaci di polverizzare i combustibili liquidi che, per poter bruciare uniformemente, dovevano essere polverizzati in maniera fine. Con la polvere di carbone, invece, Diesel impiegò in sistema pneumatico, una specie di pompa per bicicletta, che soffiava all'interno del cilindro una nuvola di carbone già finemente polverizzato. Ovviamente il rapporto di compressione dovette salire fino al punto di provocare, nell'aria, una temperatura ed un pressione tali da innestare la combutisione spontanea. Rudolf Diesel non sapeva di avere inventato il motore che, in seguito, sarebbe diventato un campione di economia, grazie al suo elevato rapporto di compressione. Non sapeva neppure che Bosch, avrebbe inventato, nel 1927, una pompa meccanica per poter iniettare un combustibile liquido, il gasolio, e trasformare il diesel da motore pesante e lento, atto solo per navi e locomotive, a propulsore principe per i veicoli industriali
Diesel, da questo motore, ottenne un rendimento 24% e rese possibili le più importanti applicazioni di motori a combustione interna della tecnica moderna. Non immaginava neppure che, dopo 107 anni dal suo brevetto, il diesel si sarebbe affermato in campo automobilistico al punto di poter effettuare il sorpasso sul motore a benzina.
Successivamente, negli anni Cinquanta, l’inventore tedesco Felix Wankel ideò un motore a combustione interna radicalmente nuovo, in cui il pistone e il cilindro venivano sostituiti da un rotore a tre lobi, rotante in una camera pressoché ovale. La miscela aria-carburante viene aspirata attraverso una luce di ammissione e intrappolata tra una faccia del rotore in rotazione e la parete della camera ovale. Il rotore comprime la miscela e l'accensione viene ottenuta per mezzo di una candela. I gas di combustione vengono quindi espulsi attraverso una luce di scarico per effetto della rotazione. Il ciclo si ripete in corrispondenza di ognuno dei lobi del rotore, producendo così tre corse attive a ogni rotazione. Le dimensioni ridotte del motore Wankel, e il conseguente minor peso rispetto ai motori alternativi, sembravano prospettare a questa soluzione un grande avvenire, anche alla luce dell’aumento dei prezzi del petrolio che caratterizzò gli anni Settanta e Ottanta. I motori Wankel sono praticamente privi di vibrazioni, la loro semplicità meccanica comporta bassi costi di produzione, hanno limitate necessità di raffreddamento e centro di gravità molto basso, che contribuisce alla sicurezza del funzionamento. Nonostante questi vantaggi, la produzione di tali motori, iniziata in Giappone e negli Stati Uniti nei primi anni Settanta, è stata sospesa a causa dell’elevato consumo di carburante e del notevole inquinamento prodotto.
Nicolò Barsanti, meglio conosciuto come Eugenio (Pietrasanta, 12 ottobre 1821 – Seraing, 18 aprile 1864), è stato un presbitero, ingegnere e inventore italiano, l'ideatore e costruttore del primo motore a scoppio funzionante.
Brevetto inglese per il motore Barsanti-Matteucci (12 giugno 1857) conservato presso l'archivio del Museo Galileo
Gracile di corporatura e di cagionevole salute, venne inviato dalla famiglia presso i padri scolopi a Pietrasanta, allo scopo di poter frequentare l'interno istituto ad orientamento scientifico, dove fu ordinato sacerdote, assumendo il nome di padre Eugenio.
Nel 1841 Barsanti iniziò la sua attività didattica al Collegio San Michele di Volterra. Qui, illustrando agli allievi un esperimento sull'esplosione di una miscela incendiaria di aria e idrogeno (usando una pistola di Volta di sua costruzione) ebbe l'idea di sfruttare l'espansione rapida del gas per sollevare un pistone. Trasferitosi ad insegnare fisica e idraulica nel 1845 all'Osservatorio Ximeniano di Firenze, di livello universitario, ebbe la possibilità di sviluppare la sua idea e soprattutto d'incontrare l'ingegnere Felice Matteucci con cui collaborerà per il resto della vita.
Motore a scoppio Barsanti e Matteucci, 1854 (riproduzione ante 1962, Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano). Fu il primo esempio di motore a combustione interna usato per azionare macchine utensili.
I due riuscirono a depositare l'invenzione il 5 giugno 1853 presso l'Accademia dei Georgofili di Firenze e, nell'anno successivo, a brevettarla in Inghilterra, Francia, Belgio, Prussia e Piemonte, attraverso l'istituzione della Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci. L'Italia dell'epoca non era ancora unita e non era in grado di offrire sufficienti garanzie per la tutela internazionale. La costruzione del motore ebbe inizio nel 1860 presso le officine di Pietro Benini. Quello stesso anno, durante l'Esposizione Nazionale di Firenze delle Arti e delle Industrie, fu messo in funzione un modello del motore Barsanti-Matteucci, costruito dalle Officine meccaniche del Pignone.[1]
Modello del motore Barsanti-Matteucci all'osservatorio Ximeniano di Firenze
Il vantaggio del motore Barsanti-Matteucci rispetto ad altri inventati in anni immediatamente successivi, tra cui quello elaborato nel 1859 dal belga, naturalizzato francese Etienne Lenoir, era di sfruttare il moto di ritorno del pistone dovuto al raffreddamento del gas piuttosto che la spinta dello scoppio, difficilmente governabile per l'epoca. Prove dinamiche dimostrarono un rendimento cinque volte più elevato per il nuovo motore rispetto agli altri e per questo ottenne la medaglia d'argento dall'Istituto Lombardo delle scienze.
Nel 1856 i due collaborano allo sviluppo di un motore a due cilindri con potenza di cinque cavalli vapore nel 1856, poi due anni dopo costruiscono (con l'ausilio di un meccanico di Forlì, Giovanni Battista Babacci) il modello a due pistoni contrapposti che fu realizzato a Zurigo dalla ditta Escher-Wyss.
Barsanti era molto convinto della sua idea, che riteneva superiore alla macchina a vapore perché più sicura, meno ingombrante e più pronta nell'avviamento. Non era però sufficientemente leggera per l'uso su veicoli stradali. Gli impieghi previsti erano la produzione di energia meccanica per fabbriche e officine e la propulsione navale.
Dopo diverse ricerche Barsanti e Matteucci decisero di affidare la produzione industriale di un motore da quattro cavalli alla società John Cockeril di Seraing in Belgio, a partire dal prototipo costruito nelle officine Bauer di Milano. Le richieste giunsero da tutta Europa e il successo commerciale sembrava imminente. Ma Barsanti, che era partito alla volta di Seraing per supervisionare personalmente la produzione, morì due mesi dopo il suo arrivo in Belgio, nell'aprile 1864. Matteucci da solo non riuscì a fare fronte alla gestione aziendale e alla tutela dei brevetti e la commercializzazione del motore fallì. Egli tornò ad occuparsi della sua materia, l'idraulica.
Nel 1877 Felice Matteucci, di fronte all'attribuzione dell'invenzione del motore a scoppio a Nikolaus August Otto, rivendicò l'invenzione a sé e a Barsanti, facendosi forte del brevetto depositato in Inghilterra, Francia, Piemonte e all'Accademia dei Georgofili a Firenze. Ma non riuscì a farsi riconoscere l'invenzione, nonostante il disegno di Otto fosse palesemente simile al loro.
Nel 1954 le ceneri di Barsanti furono traslate dalla Chiesa di S. Giovannino degli Scolopi, nella Basilica di Santa Croce, dove ora riposano insieme a quelle di altri illustri italiani e fiorentini.
Numerosi documenti relativi a tutti i brevetti richiesti dalla Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci sono ora conservati presso l'archivio della biblioteca del Museo Galileo.[2]
Felice Matteucci (Lucca, 12 febbraio 1808 – Capannori, 13 settembre 1887) è stato un ingegnere e inventore italiano.
Brevetto inglese per il motore Barsanti-Matteucci (12 giugno 1857) conservato presso l'archivio del Museo Galileo
Modello del motore Barsanti-Matteucci all'osservatorio Ximeniano di Firenze
Con Eugenio Barsanti realizzò il primo motore a combustione interna.
Il padre di Matteucci fu insigne avvocato e Ministro di Giustizia del Principato di Lucca e Piombino. Sposò Angiola Tomei Albiani di Pietrasanta, città allora compresa nel Granducato di Toscana, e ciò lo indusse presto ad interagire con personaggi influenti di quello Stato. Dopo la restaurazione il Matteucci divenne un diplomatico al servizio del Granducato e questo lo portò a distaccarsi progressivamente dall'ambiente lucchese (Lucca era capitale di un suo Ducato, non faceva parte dello Stato toscano). Il giovane Felice iniziò i suoi studi accademici nel 1823/24 nell'Università Lucchese (vedi Università di Lucca). Il padre venne però nominato rappresentante diplomatico del Granduca di Toscana in Francia e ritenne di dover iscrivere il figlio al Real Collegio Borbonico di Parigi, dove studiò ingegneria idraulica e meccanica. Dopo un anno di permanenza nella capitale francese i Matteucci rientrarono in Italia e Felice continuò la sua formazione scientifica a Firenze. In seguito il padre di Felice assunse alti incarichi nel governo toscano e lavorò alla compilazione del codice delle leggi. I Matteucci vivevano prevalentemente a Firenze e conservavano due dimore nel Ducato di Lucca e, probabilmente durante i lunghi soggiorni nella villa di Vorno (oggi comune di Capannori, Lucca), Felice studiò l'assetto idraulico del Lago di Sesto o Bientina, grande specchio d'acqua posto al confine tra Stato lucchese e Granducato. Nel 1835, a soli 27 anni, lo studioso formulò un progetto per la bonifica del lago. L'ipotesi fu presentata al governo granducale che però decise di scartarla, generando nel Matteucci una delusione notevole. Nel 1838 sposò Giulia Ramirez di Montalvo da Campi Bisenzio, ultima discendente di una nobile famiglia di origine spagnola, e si trasferì nella villa della moglie. Nel 1851 conobbe il pietrasantino padre Eugenio Barsanti degli Scolopi e rimase impressionato dalla sua idea per un motore a combustione interna; da questo momento i due collaborarono per tutta la vita allo sviluppo pratico dell'invenzione.
Motore a scoppio Barsanti e Matteucci, 1854 (riproduzione ante 1962, Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano). Fu il primo esempio di motore a combustione interna usato per azionare macchine utensili.
Tra il 1851 ed il 1864 i due costruirono vari prototipi di motore a scoppio, provando alcune varianti al concetto di combustione interna ad un cilindro. Presentarono inoltre vari brevetti in Italia ed all'estero a nome della Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci. Il motore fu sviluppato presso l'Osservatorio Ximeniano di Firenze e all'invenzione dettero un qualche apporto Giovanni Antonelli e Filippo Cecchi. Purtroppo i due inventori, nonostante avessero depositato numerosi brevetti, non si videro mai riconoscere l'invenzione e questo non incise in modo positivo sulle condizioni del Matteucci che, già dal 1862, aveva iniziato a soffrire di esaurimento nervoso.
Dopo la morte del socio nel 1864 e il fallimento della società costituita per promuovere l'applicazione del motore a macchine industriali, ritornò alla sua attività di ingegnere idraulico. Fece studi su idrometri e pluviometri e sulle opere idrauliche fluviali.
Nel 1877 rivendicò per sé e per Barsanti la priorità dell'invenzione del motore a combustione interna, nel frattempo sviluppato da Nikolaus August Otto in modo palesemente simile al motore Barsanti-Matteucci.
Gli insuccessi e le frustrazioni accumulate favorirono la malattia, che probabilmente ne causò la morte nella sua villa di Vorno, frazione di Capannori posta a pochi chilometri da Lucca.
La sua salma fu collocata nella cappella della Villa Montalvo di Campi Bisenzio, comune del quale fu consigliere comunale (dal 1865 al 1875).
Numerosi documenti relativi ai brevetti richiesti dalla Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci in Inghilterra, Piemonte, Francia, Belgio e Prussia sono ora conservati presso l'archivio della biblioteca del Museo Galile
Il primo motore a scoppio della storia, fabbricato al Pignone
La curiosità di oggi ha come protagonista la fabbrica che, senza ombra di dubbio, risulta la più importante di Firenze: sto parlando della Nuovo Pignone che, agli albori della sua storia, nel corso dell’Ottocento, si chiamava soltanto “Fonderia del Pignone” e si trovava ancora nella sua collocazione originaria nei pressi di Porta San Frediano, appena fuori dalle mura.
Oltre che prima e indiscussa “gloria” della storia produttiva industriale di Firenze, il Pignone vanta un record di assoluta eccellenza, solitamente sconosciuto agli stessi fiorentini: difficilmente infatti, si trova chi sappia che il primo motore a scoppio della storia fu assemblato proprio nella famosa fabbrica meccanica di Firenze.
A dire il vero, è poco risaputo anche il fatto che, ad inventare il motore a scoppio come ancora oggi noi lo conosciamo, furono due “toscani Doc”, ovvero padre Eugenio Barsanti (di Pietrasanta) e Felice Matteucci (di Capannori).
Il fatto che l’innovazione che così grande peso avrebbe avuto sulle modalità di locomozione, avvenisse presso la Fonderia del Pignone, indica di per sè il grado di eccellenza tecnica cui era pervenuta l’industria meccanica fondata da Pasquale Benini.
La realizzazione della straordinaria innovazione tecnica risale al 1856: ecco perchè, nonostante perduri in una notevole parte della letteratura in merito, l’attribuzione dell’invenzione a Etienne Lenoir o ad August Otto, è appurato storicamente che la priorità temporale e dunque la paternità della scoperta spetta ai due ingegneri toscani. Il motore di Lenoir risale infatti al 1862, mentre quello di Otto addirittura al 1874.
Al Pignone, i due scienziati realizzano un motore a due cilindri con una potenza di cinque cavalli vapore, che aveva il vantaggio di sfruttare ingegnosamente il moto di ritorno del pistone prodotto dal raffreddamento del gas invece che la spinta dello scoppio, principio che lo differenziava appunto dal modello di Lenoir e gli consentiva un rendimento cinque volte più elevato.
Non solo il motore a scoppio viene per la prima volta assemblato a Firenze, ma sempre nella città granducale viene implementata la sua prima applicazione pratica: l’invenzione di Barsanti e Matteuci viene infatti usata nel 1856 nelle Officine della Stazione Ferroviaria Maria Antonia (l’attuale Santa Maria Novella) per azionare un trapano ed una cesoia.
Interessante notare, per inciso, come, dopo 150 anni dall’invenzione dei due ingengneri toscani, le auto moderne funzionano con un motore a scoppio pressochè identico a quello ottocentesco: migliorato certamente nei rendimenti e nella manutenzione, ma sostanzialmente immutato dal punto di vista tecnico. Questo per dire che il settore auto, col suo bel fardello di inquinamento sistematico, non accenna a smuoversi dagli usuali paradigmi di generazione della locomozione. E Firenze ne sa qualcosa, considerato che, in proporzione, è in assoluto una delle città d’Italia con l’aria più inquinata.
Curiosità nella curiosità, il primo prototipo inventato da padre Eugenio Barsanti, funzionava non con combustibili fossili, ma ad idrogeno. Ed è stupefacente notare come l’ignegnoso principio di utilizzare questo gas nobile, sia stato solo in questi ultimi anni timidamente riscoperto, dopo aver obliato per più di un secolo ciò che, sin dall’inizio, era stato proposto dal padre scolopio.
Proprio per sottolineare il fatto che il primo motore a scoppio già adottava una soluzione presentata 150 anni dopo come “rivoluzionaria”, mentre aveva già lunghissimo corso storico, il Comitato per le manifestazioni in onore di Barsanti e Matteucci ha organizzato il 4 e 5 aprile 2003 un convegno dal titolo “Dall’idrogeno all’idrogeno“, tenutosi a Lucca presso il Complesso Monumentale San Micheletto (in cui ha sede la Fondazione Barsanti e Matteucci), in ricordo del 150° anniversario dell’ anno (il 1853) in cui i due scienziati lucchesi depositarono presso l’Accademia dei Georgofili una memoria in cui illustravano il funzionamento del motore che utilizza la combustione interna dei gas per produrre forza motrice.
Molto interessante da consultare, per appofondire le modalità di funzionamento del congegno messo a punto da Barsanti e Matteucci, oltre che per visionare i documenti relativi, è l’apposita sezione del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”
Verso la fine del 1851 o agli inizi del 1852 il brillante professore di matematica e di fisica delle Scuole Pie ed il vivace ingegnere esperto di meccanica e di idraulica si unirono con reciproca stima e con affettuosa amicizia in un progetto ambizioso che intendeva sfruttare l’’espansione di un miscuglio gassoso composto di idrogeno ed aria atmosferica, incendiato dalla scintilla elettrica, allo scopo di trasformare parte dell’energia dell’esplosione in energia di movimento.
Come scrisse p. Alfani nel 1931, essi “ intrapresero insieme una lunga e minuziosa serie di esperienze e misure delicate, preparazione al congegno meccanico che doveva condurli alla vittoria.”
L’idea si era affacciata alla mente di Barsanti quasi dieci anni prima quando, giovanissimo, insegnava nel Collegio S.Michele di Volterra. In realta non si trattava di un’idea originale. Gia l’abate Hautefeuille (1678), Christiaan Huygens (1680) e Denis Papin (1688) avevano pensato di impiegare la polvere nera per produrre, deflagrando, una depressione in una camera chiusa allo scopo di aspirare acqua nella camera stessa. I loro studi si prefiggevano di utilizzare la pressione atmosferica per sviluppare una forza motrice.
Pochi anni prima dell’inizio dell’attivita di Barsanti e Matteucci, nel 1841, l’ingegnere milanese Luigi De Cristoforis, facendo riferimento ad un brevetto dell’inglese Samuel Brown (1832), descrisse in una memoria, pubblicata sugli Atti del Reale Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti, una macchina igneo-pneumatica a miscela d’aria e vapore di nafta (che poi costrui e fece funzionare), che costitui il primo motore atmosferico a esplosione a combustibile liquido.
L’incontro di Barsanti con Matteucci e la successiva collaborazione con l’ingegnere lucchese rappresento per il padre scolopio il completamento ideale delle conoscenze scientifiche e tecniche indispensabili per portare avanti il suo programma di ricerca.
Il rapporto scientifico tra i due personaggi fu sempre paritetico. Nel 1858 per smentire definitivamente alcune voci che attribuivano al solo p. Barsanti la paternita dell’invenzione del motore e che avevano dato luogo ad un articolo apparso sull’ Almanacco Etrusco, il padre scolopio fece pubblicare una pronta replica che vale la pena di riportare per intero:
Monitore Toscano
N. 12 Sabato 16 gennaio 1858
Nell’almanacco etrusco del corrente anno all’articolo Invenzioni e scoperte, pag. 336, viene attribuito esclusivamente al sottoscritto una nuova scoperta per la quale verrebbe sostituita la forza di un gaz a quella del vapore.
L’invenzione della quale si tratta che veramente consiste nell’impiegare la de(to)nazione d’una mescolanza gassosa a produrre una forza motrice da sostituire al vapore; appartiene in comune nella sua origine e nel suo progressivo sviluppo al sottoscritto ed al suo amico Signor Felice Matteucci di Firenze valente cultore delle scienze Fisico – matematiche.
Tanto dichiaro per debito di Giustizia.
Prof. Eugenio Barsanti d.S.P. “
Durante i dodici anni della comune ed incessante attivita di ricerca fu studiato il motore a scoppio gravi-atmosferico e ne furono realizzati diversi prototipi. Si tratto del primo vero motore a combustione interna, costituito, nella sua
realizzazione piu semplice, di un cilindro ad asse verticale nel quale lo scoppio di una miscela di aria e idrogeno o gas illuminante proiettava verso l’alto uno stantuffo creando il vuoto nello spazio sottostante. Nella corsa di ritorno, sotto l’azione della pressione atmosferica, lo stantuffo, per mezzo di un’asta dentata ad esso solidale ed un rocchetto a ruota libera, trasmetteva il movimento all’ albero motore.
L’ambiente dove venne svolta la parte principale della ricerca era quello dell’Osservatorio Ximeniano, prestigioso istituto fondato circa un secolo prima dal gesuita Leonardo Ximenes e gestito all’epoca dai padri scolopi.
Barsanti e Matteucci poterono contare sempre sulla dotta scienza matematica di p. Giovanni Antonelli, direttore dell’Osservatorio, e sulla geniale sensibilita meccanica di p. Filippo Cecchi, ma in ultima analisi furono loro due – Barsanti con il suo vivace ingegno, con la sua determinazione, con la volonta indomabile, Matteucci con la sua conoscenza della meccanica, con le sue soluzioni innovative, con la pratica sperimentale – a concepire ed a costruire il primo motore a scoppio della storia.
Le difficolta furono enormi, non solo scientifiche e tecniche, ma specialmente organizzative, legate alle modeste condizioni artigianali ed industriali dell’Italia di allora (rispetto alle nazioni piu progredite, Germania, Francia ed Inghilterra).
Gli ostacoli ed i malintesi, le disillusioni ed i dolori accompagnarono l’esistenza dei due inventori.
Infine la morte prematura di Barsanti nel 1864 spezzo per sempre le speranze di veder loro riconosciuta la priorita dell’invenzione.
Le pratiche per ottenere il brevetto del motore a scoppio furono iniziate nel 1854, di pari passo con la costruzione dei primi motori e furono continuate negli anni seguenti man mano che il motore veniva perfezionato. I brevetti furono numerosi, in Inghilterra, in Francia, nello stato del Piemonte, in Belgio, in Prussia.
Tuttavia ancora prima, il 5 giugno 1853, la prestigiosa Accademia dei Georgofili aveva ricevuto un loro plico sigillato, contenente una dettagliata memoria sullo stato delle ricerche e conclusioni e lo aveva conservato a protezione del lavoro intellettuale da loro svolto. Sulla copertina del plico era scritto: “Rapporto riguardante alcuni nuovi sperimenti dei Signori Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, da loro depositato sigillato presso l’Accademia dei Georgofili nell’adunanza del 5 Giugno 1853, come rilevasi dal processo verbale di detta adunanza”.
A 150 anni di distanza, la Mostra del motore a scoppio, che apre le celebrazioni della ricorrenza dell’invenzione di Barsanti e Matteucci, e stata allestita proprio nella stessa sede che custodi il documento ufficiale della nascita del motore a scoppio.
Nella mostra sono esposti i documenti, le lettere, i modelli che ricostruiscono la storia del primo motore, il motore della scuola fiorentina, come e stato giustamente chiamato.
Per la prima volta vengono presentati il brevetto inglese e quello piemontese del 1857, il brevetto piemontese di Barsanti, Matteucci e Babacci del 1861, sulla cui base fu costruito il motore della ditta Escher Wyss di Zurigo che fece bella mostra di se alla 1a Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, il brevetto inglese del 1861 e le estensioni delle privative piemontesi a tutte le province del Regno d’Italia del 1864.
Accanto ai documenti, alle lettere, vengono presentate anche le ricostruzioni, sulla base del brevetto inglese del 1857, del motore con pistone ausiliario a tre tempi, primo sistema, e del motore senza pistone ausiliario a tre tempi, secondo sistema, e, sulla base del brevetto inglese del 1861, del motore a pistoni contrapposti, fatte eseguire in occasione del 150° anniversario dell’invenzione.
Tratto da Scienziati, dunque credenti di Francesco Agnoli, pubblichiamo il capitolo che l’autore dedica alla figura di padre Eugenio Barsanti, il vulcanico sacerdote toscano che con Felice Matteucci inventò il primo motore a scoppio. Del libro è uscita da poco per i tipi di Cantagalli una nuova edizione ampliata.
Tutti conoscono il nome dei tedeschi Nikolaus August Otto, di Rudolf Diesel e di Karl Friedrich Benz, perché questi nomi sono legati indissolubilmente alla storia dell’automobile. Pochi sono, invece, quelli che saprebbero dare una identità a padre Eugenio Barsanti. Eppure fu proprio lui, insieme all’ingegner Felice Matteucci, l’inventore del motore a scoppio che ancora oggi, con le opportune modifiche inevitabili nel corso degli anni, ci permette di volare, di precorrere le strade del mondo, di solcare i mari e di far compiere alle macchine faticosi lavori di ogni genere. Sì, un sacerdote, all’origine di uno degli strumenti più innovativi della modernità: non dovrebbe stupire chi sa, per esempio, che al sacerdote francese Claude Chappe (1763-1805) dobbiamo il primo telegrafo, al sacerdote italiano Giuseppe Zamboni (1776-1846) l’invenzione della pila a secco, al monaco senese Giovanni Caselli (1815-1891) il primo fax (detto pantelegrafo)…
Chi fu dunque, Padre Barsanti, sepolto oggi in santa Croce a Firenze, nella stessa chiesa di Michelangelo e Galilei?
Nato da uno scalpellino di Pietrasanta (Lucca), nel 1821, questo futuro inventore è accolto ancora giovinetto a studiare presso l’Ordine degli Scolopi (da schola e pius), a Pietrasanta. Di lì, non senza una certa disapprovazione del padre, decide di rimanere tra gli scolopi e si trasferisce in un’altra casa dell’ordine, detta “il Pellegrino”, in quel di Firenze, per approfondire gli studi nei quali si è rivelato, precocemente, molto versato. Il luogo è quello adatto: sia per l’origine popolare di Barsanti, sia per la sua predilezione per le materie scientifiche (che non gli impediscono, però, di amare anche la filosofia, la letteratura, la teologia…).
Infatti proprio il fondatore degli Scolopi, il santo spagnolo Giuseppe Calasanzio, si contende con un altro santo, francese, Giovan Battista de la Salle, il titolo di “fondatore della scuola popolare”: nelle Scuole Pie da lui fondate i figli dei ricchi e i figli dei poveri siedono allo stesso banco, e imparano gratuitamente, oltre alle discipline umanistiche, quelle tecnico-professionali.
Calasanzio era stato poi, oltre che un grande educatore, un amico personale di Galileo Galilei, presso il quale aveva mandato vari suoi discepoli, e a cui era rimasto vicino anche dopo la sua caduta in disgrazia presso il pontefice Urbano VIII. Il suo ordine, inoltre, avrebbero accolto e mantenuto, in una casa religiosa, a Roma, il grande matematico galileiano Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679) e avrebbe fornito alla scienza, nel Settecento, personalità come Gregorio Fontana e Carlo Barletti, colleghi di Alessandro Volta all’Università di Pavia, e Giovanni Battista Beccaria.
Proprio a Firenze, presso il già citato istituto detto il Pellegrino, aveva dimorato uno dei cosiddetti “scolopi galileiani”, cioè gli scolopi che, come padre Francesco Michelini, erano stati eminenti scienziati con un profondo legame con Galilei: il padre Clemente Settimi. Oggi il suo nome è dai più ignorato: eppure lo scolopio Settimi fu uno degli più intimi angeli custodi ed amici, insieme al padre Castelli, del grande scienziato pisano. Scrive Michele Camerota, nel suo “Galileo Galilei”: “Il sopravvenire della cecità costrinse lo scienziato ad avvalersi della continua assistenza di amici e discepoli, il cui aiuto risultava indispensabile non solo per il proseguimento dell’incessante scambio epistolare che egli intratteneva con numerosi corrispondenti, sia italiani che stranieri, ma anche, ed anzi, soprattutto, in vista del perseguimento dei diversi studi che andava sviluppando a dispetto del buio in cui ormai era definitivamente immerso. A fungere da amanuensi si alternano, nel tempo, personaggi quali Dino Pieri, successore di Niccolò Aggiunti nella cattedra di matematica a Pisa, il sacerdote fiorentino Marco Ambrogetti – che tra il giugno 1637 e il gennaio 1639, attenderà alla traduzione latina de Il Saggiatore, delle Lettere solari e del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, in vista di una progettata edizione da stamparsi in Olanda-, Evangelista Torricelli, lo scolopio Clemente Settimi e, infine, il giovanissimo Vincenzo Viviani, che resterà preso il Maestro dall’ottobre 1639 fino alla di lui morte, avvenuta nel gennaio 1642” . Si aggiunga che il Viviani, cui dobbiamo una breve biografia di Galilei e le sue notizie sulla fede sincera di quest’ultimo, era stato allevato proprio dal Settimi, e da lui presentato e raccomandato, prima di entrare nel suo cuore, al Galilei stesso
Quando arriva ad approfondire gli studi presso il Pellegrino, dunque, il Barsanti si trova, consapevole o meno, in un luogo che ha fatto storia e che continua a sfornare sacerdoti, educatori e scienziati. Compiuto il noviziato al Pellegrino, mutato il suo nome originario, Niccolò, in Eugenio dell’Addolorata, il Barsanti viene trasferito a san Giovannino, sempre in quel di Firenze, per proseguire ulteriormente negli studi. Qui, presso il convento annesso alla chiesa di san Giovanni, il gesuita Leonardo Ximenes, astronomo, ingegnere civile e idraulico, cui si deve l’avvio della bonifica della Maremma toscana e del Padule di Bientina, aveva fondato nel Settecento l’Osservatorio Ximeniano, passato sotto la direzione degli scolopi dopo che i Gesuiti erano stati costretti a lasciare Firenze nel 1775.
Il professore di Barsanti è ora padre Pompilio Tanzini, docente di geometria e di filosofia e collaboratore della specola astronomica, dove Barsanti ama recarsi, spesso, in solitudine, per studiare e conoscere gli strumenti dell’astronomia, dell’idraulica, della meteorologia e della sismologia. Nel 1841 Barsanti viene inviato dal suo superiore, padre Inghirami, finissimo cartografo, geografo ed astronomo (membro della Accademia della Crusca, dei Quaranta e delle accademie geografiche di Berlino e di Londra), a Volterra, in un collegio degli scolopi, dove si era formato il futuro Pio IX, ad insegnare geometria, matematica e fisica, oltre che a fare il catechista per i collegiali (al Collegio degli Scolopi di Volterra studia anche Giosuè Carducci, mentre Giovanni Pascoli si formerà al collegio degli Scolopi di Urbino, avendo come professore, tra gli altri, lo scolopio Alessandro Serpieri, eminente astronomo, metereologo e sismologo). A Volterra, nel 1843, Barsanti concepisce le prime idee che lo avrebbero portato alla sua invenzione, e ne dà dimostrazione pratica ai suoi studenti.
“Era la primavera del 1843, il ‘maestrino’, come gli alunni lo chiamavano per la sua giovane età e per l’esile statura, entrò in classe con in mano un barattolo con un lungo collo, strumento che si era personalmente costruito per l’esperienza che doveva fare. Quello strumento riproduceva la pistola di Volta. Il maestrino spiegò agli allievi cosa intendeva fare, riempì il recipiente con idrogeno e aria, chiuse ermeticamente il collo con un tappo di sughero quindi agli estremi della sbarretta di ottone isolata e terminante con due sferette fece scoccare una scintilla elettrica e immediatamente uno scoppio fragoroso scaraventò il tappo contro la soffitta e fece rintronare l’aula. Agli alunni spaventati spiegò cosa era avvenuto: la scintilla elettrica aveva incendiato il miscuglio di gas il quale aumentando di volume aveva prodotto lo scoppio lanciando in aria il tappo. Questo esperimento fece balenare nella mente di Barsanti l’idea di utilizzare l’esplosione di un miscuglio gassoso come generatore di una forza da utilizzare in una macchina a moto continuo che risultasse più pratica della macchina a vapore” (dal sito della Fondazione Barsanti-Matteucci).
Nel 1845 Barsanti viene ordinato sacerdote da padre Tommaso Padula, fondatore e direttore dell’Istituto per sordomuti di Siena; nel 1849 diviene professore presso il citato Osservatorio, poi professore di meccanica alle Belle Arti… Tra i suoi amici e confratelli si segnalano in questi tempi il padre Filippo Cecchi e il padre Antonelli. Il primo è un vero vulcano di idee e di invenzioni. L’enciclopedia Treccani ricorda che “progettò un nuovo sistema di elettrocalamita “a rocchetto”, costruita attorno al 1852”; “un motore elettromagnetico nel quale il volante era mosso dalle ancore di due elettrocalamite a rocchetto, che si alzavano e abbassavano alternativamente”; “si occupa anche della costruzione di parafulmini con l’incarico di rinnovare i parafulmini che già esistevano e di porne dei nuovi sulla cupola di S. Maria del Fiore a Firenze, dove, insieme al p. Antonelli, restaurò il celebre gnomone solstiziale costruito nel 1468 dal Toscanelli. Durante l’esecuzione dei lavori, essi idearono di ripetere, su scala più vasta, la celebre esperienza di L. Foucault con la quale fu dimostrata in modo sensibile la diurna rotazione della Terra. Si servirono di un pendolo lungo 90 metri con appesa una palla di kg 33 che compiva oscillazioni in 9 secondi e, abbandonato a se stesso, continuava a oscillare per circa 6 ore”; “eseguì osservazioni nuove sulla direzione dei venti che agitano le alte regioni dell’atmosfera, studiando il moto delle nubi. A tal proposito ideò uno speciale nefoscopio” e vari strumenti efficaci per la sismologia (inventa il Sismografo elettrico a carte affumicate scorrevoli e il Sismografo a carte affumicate non scorrevoli, diffusi molto rapidamente negli osservatori italiani e stranieri: “gli meritarono la medaglia d’oro all’Esposizione nazionale di Torino del 1884. Fece costruire nel 1882 un avvisatore sismico e nello stesso anno un sismografo a registrazione continua, presentato al Congresso meteorologico di Napoli nel 1882”).
Il padre Antonelli, invece, l’altra personalità eccezionale si cui sorvoliamo per mancanza di spazio, è colui che gli presenta l’ingegner Felice Matteucci, che, insieme al Barsanti, inventerà, appunto, il motore a scoppio. La data di nascita di questa grande invenzione può essere identificata con il giorno 5 giugno 1853 (il brevetto, voluto dal Matteucci, fu il numero 1072 del 13 maggio 1854, in Inghilterra; poi in Francia…). Ottenuto il brevetto, i due vogliono proseguire i loro sforzi. L’idea è creare una “macchina capace di generare una nuova forma di energia che al confronto con la macchina a vapore” sia “più pratica per gli svariati usi industriali e d’officina, ma anche che essa, dal punto di vista economico”, e funzioni “con un rendimento almeno uguale, se non superiore, a quello della macchina a vapore allora imperante”. Così ai primi di maggio del 1856 vede la luce presso le Officine della Ferrovia Maria Antonietta il secondo prototipo di motore Barsanti Matteucci, una macchina a due cilindri interdipendenti, già complessa, completa, definita dal Barsanti una “forza economica perfetta” (che ha, tra gli altri pregi, quello di essere più sicura delle macchine a vapore, esposte talora la rischio di esplosione delle caldaie).
Di qui un secondo brevetto, il 1655 del 12 giugno 1857, sempre in Inghilterra (patria della ormai superata macchina a vapore). A seguire il brevetto viene riconosciuto anche in Francia, Belgio… Ma ciò non impedisce che nel 1858 il meccanico belga francese Etienne Lenoir annunci l’invenzione di un nuovo motore azionato a gas (con scarso rendimento termico), che altro non è se non un furto del motore “descritto da Barsanti e Matteucci nella domanda per ottenere proprio il brevetto francese” del 1853.
Senza darsi per vinti, nonostante la cocente delusione nel vedersi privati del riconoscimento della loro priorità, decisi a migliorarsi ulteriormente, Barsanti e Matteucci danno vita, nel 1861, ad un nuovo prototipo, tecnicamente detto “a stantuffi contrapposti ad azione diretta”. L’ultimo motore è quello del 1863, ad un solo cilindro, verticale, ad azione differita e della potenza di 4 cavalli. Quattro anni dopo, all’esposizione universale di Parigi del 1867 Otto e Langen presentano, ottenendo la medaglia d’oro, il loro motore, che però altro non è che una copia abbastanza fedele del motore dei due italiani sia riguardo ai principi generali, sia per certi accorgimenti tecnici. Intanto, però, il Matteucci è ormai distrutto da un esaurimento nervoso, mentre il Barsanti è morto di febbre tifoide, il 19 aprile 1864, in Belgio, assistito dal sacerdote dei minatori italiani, don Giuseppe, proprio mentre sta per assistere alla costruzione in serie del suo motore (e quindi al conseguente successo commerciale), senza mai aver smesso di confessare, celebrare messa, ecc…
Prima di partire, siamo negli anni dello scontro tra Savoia e Papato, Barsanti ha scritto una lunga lettera al pontefice, Pio IX, illustrandogli lo scopo del suo lavoro: inventare qualcosa di utile per il popolo, per aumentare la sicurezza, ridurre la fatica ed i costi, e dimostrare ancora una volta ai suoi “nemici”, come la Chiesa “promuova e coltivi i trovati della scienza e dell’industria”, quando essi non sono “ostacolo al congiungimento di quel bene che più all’uomo interessa, cioè la salute eterna”. Oggi Barsanti e Matteucci, scippati in vita, come l’italiano Antonio Meucci, della loro scoperta, sono universalmente riconosciuti come i padri del motore a combustione interna.