camion a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘90
Sul finire degli anni ‘60, e precisamente nel 1969, Lancia, compresa la sua divisione di veicoli industriali, confluì nel gruppo Fiat. Sorte che, pochi anni più tardi, nel 1976, toccò anche ad Alfa Romeo e alla sua divisione di veicoli industriali. Intanto, nel 1975 viene presentato il nuovo marchio Iveco, destinato a raccogliere il testimone di tutte le precedenti divisioni di veicoli industriali, diventando l’azienda che oggi conosciamo.
Il Fiat 619, il camion dell’export
A voler essere pignoli, in realtà, la produzione del Fiat 619 ebbe inizio già nel 1964, come potenziale sostituto del Fiat 682, il cosiddetto re d’Africa. L’erede di questo era un camion polivalente, fu presentato in due versione: il Fiat 619 N, come camion autotelaio, e il Fiat 619 T, come trattore stradale. Nella prima edizione, entrambe le versioni risultavano ancora equipaggiato con la tipica cabina “baffo”. Proprio in virtù della forma della cabina, in sud America, dove fu prodotto fino al 1994, il 619 Fiat fu soprannominato pico de loro, cioè becco da pappagallo.
Fu a partire dal 1970, con il Fiat 619 N1 e il Fiat 619 T1, che il camion iniziò ad essere equipaggiato con la più spaziosa cabina “H”. Inizialmente equipaggiato con un motore di 12.883 centimetri cubici e 210 cavalli di potenza, con le versioni N1 e T1 si passò a un’unità propulsiva da 13.798 centimetri cubici e 260 cavalli di potenza.
I due mezzi, costruiti in previsione del Codice europeo che prevedeva come limiti di massa per i mezzi a due assi le 19 tonnellate e per quelli a tre assi le 26 tonnellate, furono abbastanza apprezzati in nord Europa. Proprio questa preferenza dei mercati esteri finì col definire il Fiat 619 come il camion dell’export. In particolare in Argentina, dove, ancora oggi, non è raro vederne qualcuno in circolazione.
La serie numerica di OM
Prima di confluire in Iveco, anche OM ebbe modo di presentare, praticamente per intero, la sua serie numerica. Con la fine della serie zoologica, come fu definita la serie degli OM Leoncino, OM Lupetto, OM Cerbiatto, OM Daino e OM Orsetto, l’azienda milanese presentò i loro successori. Per questa nuova serie di mezzi pesanti, la OM utilizzò una nuova notazione, che al marchio seguiva da un numero che stava ad indicare la portata e i motori che equipaggiavano il mezzo.
Fra il 1972 e il 1973, quindi, furono presentati l’OM 40, l’OM 50 e l’OM 55, tutti equipaggiati con un motore Fiat da 3.455 centimetri cubici di cilindrata e una potenza di 82 cavalli. Con un motore della stessa OM, da 4.562 centimetri cubici e una potenza di 90 cavalli, erano equipaggiati l’OM 65, l’OM 70 e l’OM 75. Infine, nuovamente con un motore Fiat, questa volta da 5.183 centimetri cubici e una potenza di 122 cavalli, erano equipaggiati l’OM 80, l’OM 90 e l’OM 100. Mezzi dalle ottime capacità, utilizzati non solo per il trasporto merci. È il caso dell’OM 55, per esempio, che fu utilizzato anche dall’Arma dei Carabinieri.
Fra il 1973 e il 1983, mentre Iveco si prepara a monopolizzare il mercato dei mezzi pesanti italiani, OM presentò anche la seconda serie numerica. Anche in questo caso, i mezzi riscossero un discreto risultato non solo nell’ambito del trasporto merci. È il caso, ad esempio, dell’OM 160, utilizzato come mezzo di soccorso dal Corpo dei Vigili del Fuoco.
L’arrivo di Iveco e la sua pesante eredità
Il 1° gennaio 1975, raccogliendo l’eredità dei marchi Fiat, OM, Lancia, Unic e Magirus-Deutz nasce il nuovo marchio Iveco. Almeno in un primo momento, il nuovo marchio non fece che accogliere nel proprio catalogo i mezzi precedentemente in produzione con altri marchi. È il caso di Fiat 190 Turbo. In alcuni casi, come in sud America, il marchio Fiat fu mantenuto addirittura fino al 1981.
Per i primi mezzi industriali a marchio Iveco, invece, occorrerà attendere il settembre 1984. Fu in quell’anno, infatti, ad essere presentato Iveco TurboStar. Il nuovo autocarro Iveco fu presentato in due varianti: 190.33, dotato di motore sovralimentato con intercooler a sei cilindri di 13.798 centimetri cubici di cilindrata e 330 cavalli, e il 190.42, che montava un motore turbo da 8 cilindri a V da 17.174 centimetri cubici e 420 cavalli di potenza. Quest’ultimo, al momento della presentazione, rappresentò il mezzo più potente in Europa. Il mezzo, inoltre, poteva essere accoppiato con cambio Fuller a 13 marce a innesto rapido o, in alternativa, con cambio ZF Ecosplit a 16 marce sincronizzate.
Presentato in un’inedita colorazione grigio chiaro metallizzato, solitamente destinata alle automobili ammiraglia, il TurboStar seppe subito imporsi all’attenzione degli addetti ai lavori. Pur mantenendo la stessa cabina del 190, l’Iveco TurboStar migliorò di molto il comfort interno, grazie ad alcuni accorgimenti come i sedili pneumatici, l’aria condizionati e un inedito cruscotto avvolgente per avere tutti i comandi a portata di mano. Più di questo, però, molto apprezzate fu la ricercatezza aerodinamica, che consentirono di ottenere un coefficiente di penetrazione di appena 0,53. Questo, insieme all’eccezionale potenza del suo motore, rese il TurboStar un mezzo molto diffuso in Europa. Venduto in circa 50 mila esemplari, infatti, il TurboStar è stato uno dei mezzi Iveco più venduti di sempre. Nel 1993, comunque, fu sostituito da Iveco Eurostar.
Della stessa famiglia, ma presentato nel 1990, era invece Iveco TurboTech. Pur molto simile al fratello maggiore, il TurboTech era destinato ai viaggi regionali e locali. Per questo, a differenza del TurboStar, disponeva di una cabina meno accessoriata. Oltre a ciò, il TurboTech si distingueva anche esteriormente, per un griglia frontale ridotta, formata da sette listelli invece che nove, e da portiere più piccole. L’Iveco TurboTech, comunque, fu mantenuto in listino come il fratello maggiore fino al 1993, quando fu sostituito da Iveco Eurotech.