Sistemazione del terreno: ruspa o trattore?
In sostituzione di pesanti e ingombranti bulldozer, in molte situazioni operative anche i trattori agricoli cingolati dotati di lame apripista svolgono un eccellente lavoro. Gli accorgimenti tecnici più moderni, per l'ottimale impiego di questi trattori, per i quali l'industria italiana vanta una tradizione importante
In diversi settori del vasto panorama della meccanizzazione agricola è ancora viva una tradizione tutta italiana, rappresentata dal trattore cingolato. Non si tratta certo dei moderni rubber track, ovvero i trattori da svariate centinaia di cavalli di potenza dotati di cingoli in gomma, ma dei più piccoli mezzi con i classici cingoli in acciaio. Lanciati in Europa nel 1932 dalla Fiat a partire dal mitico 700C, sono mezzi che hanno subito nel tempo un’evoluzione limitata, a riprova di caratteristiche tecnico-costruttive che si sono rivelate vincenti già dalla loro comparsa sul mercato. Sono infatti ben poche le unità vendute all’estero, e tutte (o quasi) nell’areale mediterraneo, per le simili condizioni operative e ambientali. Il trattore cingolato trova la sua ragion d’essere laddove colline e montagne ne esaltano le capacità basilari, e cioè un’ottima stabilità longitudinale e trasversale, grazie ad un baricentro particolarmente basso. Se a questo si aggiunge il compattamento del terreno alquanto ridotto, si può facilmente intuire come sia il mezzo ideale per i vigneti, e non solo...
Uno degli impieghi particolari del trattore cingolato è rappresentato senza dubbio dall’alternativa al bulldozer. Anche in campo agricolo è sempre più spesso necessario effettuare sistemazioni del terreno, sia superficiali che profonde. Il cingolato può quindi essere opportunamente attrezzato per l’impiego in luogo dei ben più specifici bulldozer, garantendo comunque una buona produttività. Per fare ciò serve però una lama apripista.
La struttura portante
Concepita principalmente per esercitare una forza di spinta molto elevata, la lama apripista trova proficua applicazione sui trattori cingolati, che in condizioni ottimali sono in grado di esercitare forze di tiro (o di spinta) quasi pari al loro peso. Per questo motivo la lama è fissata solidamente ai carrelli delle cingolature, ovvero a strutture molto robuste e solidali al terreno. La staffatura è semplice, ed è avvitata al carro tramite forature, se presenti; viceversa, in assenza di queste ultime, è necessario saldare delle controstaffe, provviste a loro volta delle necessarie forature. Bisogna infatti garantire la completa rimozione degli elementi di aggancio, sia per evitare danni quando non sono necessari, sia per permettere impieghi diversi della macchina (ad es. con ingresso in filari stretti) senza indesiderati ostacoli o ingombri. La staffatura è normalmente composta da una piastra per cingolo, variamente sagomata, sul quale è fissato il dispositivo di aggancio della lama vera e propria. Al momento, la soluzione più frequentemente adottata è quella di aggancio/sgancio rapido, che sfrutta una serie di robusti perni applicati alla staffatura: l’accostamento del trattore alla lama appoggiata a terra nella posizione opportuna ne permette l’inserimento nelle apposite sedi poste sulla struttura della lama, con un dispositivo supplementare che provvede a bloccare saldamente il tutto. Lo sgancio della lama avviene eseguendo in modo inverso la sequenza delle operazioni descritte.
Sono ancora in commercio lame con agganci standard, che richiedono però un’operatività piuttosto critica, come il perfetto centraggio delle forature, con il successivo inserimento di perni o bulloni di bloccaggio. In tal caso si consegue un certo risparmio economico all’acquisto, ma i tempi di collegamento sono decisamente più lunghi, tra l’altro con un livello inferiore di sicurezza dell’operatore.
La lama vera e propria è connessa a queste staffature tramite due ulteriori staffe di aggancio, che comprendono le sedi per i perni della staffa principale, il perno di aggancio della struttura della lama e un telaio superiore (tipicamente triangolare) che sostiene i cilindri idraulici necessari a regolare l’altezza di lavoro della lama. Ai perni principali si collega quindi il telaio portante in tubolari piegati ad U adeguatamente rinforzati, che avvolgono la parte anteriore del trattore. La lama è incernierata nella parte anteriore di questo telaio: può essere fissata direttamente sul telaio, oppure collegata ad esso tramite snodi a un grado di libertà (perni cilindrici) o tramite uno snodo sferico centrale, che ne permette la regolazione su più assi (v. box).
I sistemi per l’inclinazione delle lame
Angledozer o tiltdozer? O entrambi? Può essere utile chiarire: le prime lame apripista prodotte erano mobili sul solo asse verticale, tramite la movimentazione idraulica del telaio principale. Per molte lavorazioni non serviva null’altro - ad esempio per dosare la massa di terra (o altri materiali) da spostare – mentre per altre incombenze ciò non era sufficiente, come nel caso del ripristino di strade sterrate, le cosiddette strade bianche, dove è molto importante mantenere il fondo leggermente inclinato verso un lato oppure a schiena d’asino, per permettere un adeguato deflusso delle acque meteoriche. Per questo è stato messo a punto l’angledozer, ovvero la lama con la possibilità di inclinazione trasversale, in modo che un’estremità possa affondare maggiormente nel terreno rispetto al centro, creando una pendenza laterale.
Il tiltdozer, invece, permette di inclinare (sempre idraulicamente) la lama nel senso dell’avanzamento: una delle estremità sarà più distante dal corpo trattore, mentre l’altra logicamente si avvicina. Si crea in tal modo un flusso obbligato di materiale asportato (su un lato) e riportato (sull’altro), che viene quindi costretto a trasferirsi da una parte o dall’altra del trattore. Se nel primo caso è necessario uno snodo sferico centrale per permettere l’inclinazione, nel secondo caso può invece essere sufficiente un punto d’appoggio centrale a perno. Entrambi i movimenti sono normalmente effettuati tramite cilindri idraulici. Da notare che molti costruttori tendono ad assimilare i due movimenti, definendoli indifferentemente come tiltdozer, per cui è necessario fare attenzione in fase di acquisto, richiedendo esattamente la lama con le caratteristiche desiderate.
La lama
L’organo di lavoro della macchina è la lama vera e propria, una robusta lamiera curvata con uno o più raggi e saldamente fissata ad un telaio di supporto, di collegamento al telaio principale. Se la lama è fissata direttamente al telaio, i punti di appoggio sono molteplici; viceversa, se si tratta di lame inclinabili (angle o tilt-dozer), i punti di appoggio sono normalmente cinque, rappresentati da uno snodo centrale e quattro punti di appoggio laterali, dove si agganciano i cilindri idraulici e i tiranti per realizzare le varie inclinazioni.
La parte a contatto col terreno, detta vomere, è normalmente in acciaio fresato antiusura; è ovviamente sostituibile, in considerazione dell’elevato consumo. Il fissaggio avviene tramite diversi bulloni, e il vomere può essere unico o diviso in più sezioni. In questo secondo caso la sostituzione è più efficiente, potendo eventualmente cambiare solo la parte usurata (utile soprattutto se la lama viene usata spesso in posizione inclinata).
Più lame, più funzioni
La lama standard normalmente montata su queste macchine è di tipo chiuso, in grado di movimentare efficacemente il materiale, spianare il suolo, sistemare strade. Ma la multifunzionalità è ormai un obbligo, sia per gli agricoltori che per le attrezzature agricole, per cui gli utensili terminali degli apripista sono ormai differenziati. La versione più semplice è la cosiddetta lama spietratrice, ovvero una robusta griglia che si interra per 15-30 cm circa e vaglia il terreno, rimuovendo le pietre di maggior dimensione. Con alcuni cilindri supplementari è possibile montare invece una benna con funzioni di caricatore frontale. In questo caso il telaio viene modificato sia nella parte terminale che in quella iniziale, così da ottenere una maggiore escursione verso l’alto.