Camion da trasporto Wabco Haulpak 85-C
Nella foto qui nel 1973 c'è un camion da trasporto Wabco Haulpak 85-C al lavoro a Temagami, nell'Ontario settentrionale.
La Sherman Iron Ore Mine era in piena attività, essendo stata aperta nel 1968 per produrre pellet di minerale di ferro destinati principalmente all'uso presso l'acciaieria Dofasco a Hamilton, Ontario.
Per produrre annualmente 1 milione di tonnellate di minerale di ferro pellettizzato era necessaria una flotta di cinque 85C più altre 10 unità di trasporto Wabco da 65 tonnellate. Dato che il minerale grezzo di questa cava conteneva il 25% di ferro, è stato necessario trasportare anche circa 5 milioni di tonnellate di roccia di scarto.
Questo Wabco 85-C visto qui sta scaricando minerale grezzo in un frantoio rotante che ha ridotto il minerale a meno 300 mm per alimentare l'impianto di lavorazione e concentrazione. Le spedizioni ferroviarie giornaliere dei pellet di minerale di ferro consistevano in 30 vagoni ferroviari che trasportavano ciascuno 82 tonnellate diretti ad Hamilton.
Quando è stata chiusa nel 1990, la Sherman Mine aveva prodotto più di 20 milioni di tonnellate di minerale di ferro concentrato.
A metà degli anni '50, Wabco (Westinghouse Air Brake Company) aveva acquistato le linee di macchine movimento terra RG LeTourneau e subito dopo produceva grandi autocarri da cava con cassone ribaltabile posteriore. Per gestire il carico di 81 tonnellate, era necessario un propulsore Cummins o Detroit Diesel nella gamma da 560 kW. Alcune unità di trasporto Wabco più piccole furono costruite nell'ex stabilimento JD Adams a Paris, Ontario, fino alla sua chiusura negli anni '70.
CU DI ‘N SCECCU NI FA UN MULU U PRIMU CAUCIU E’ DO SO’!
“Chi tratta un somaro come se fosse un mulo (che chiaramente ha più valore nella nostra tradizione) si becca il primo calcio”.
Questa frase mi ronza nel cervello da un bel po’ e chissà a quanti di noi è capitato di sopravalutare qualcuno, di farlo sentire importante, aiutarlo come si poteva e poi ricevere in cambio solo cattiverie.
Il somaro in preda ad un delirio di onnipotenza scalcia a mai finire ed il primo calcio colpisce proprio te, poi ti accorgi che ha scalciato con intenzione. A che serve a questo punto ripensare a quello che si è fatto per lui?
Il fieno più profumato, carichi portati sulle nostre spalle per risparmiare lui, tutto inutile. Ha colpito forte e con cattiveria. A te rimane solo leccarti le ferite e darti dello scemo. Poi si pensa di reagire e di fare un bel tamburo con la pelle di quel somaro e si diventa cattivi e vendicativi.
E così si apre una faida infinita. Si lega il somaro con una bella corda, ma il somaro ha amici che riescono a slegarlo e così torna a scalciare, mentre tu nel contempo mediti un’altra vendetta. Ma non finirà mai.
La metafora della quale parliamo quante volte è successa in politica? Tantissime volte. E tantissime volte hanno avuto sembianze sparute, piccoli uomini vicini a veri potenti che si sentivano potenti anch’essi. Parliamo di gente meschina abituata al tradimento e qui a Melilli, purtroppo, ne risiedono in tanti.
La vicenda politica che ha caratterizzato gli ultimi avvenimenti succeduti all’interno del palazzo di vetro più somigliante ad un pastificio con relativo padrone, in questo periodo ne ha smascherato tanti, iniziando proprio dal padrone del pastificio, alias Cannata, per finire con lo sceccu della metafora, Peppe Carta. Aveva meno di 20 anni quando cominciò a frequentare la politica aggrappandosi alle vesti dell’on. Iano Sbona, il quale pensando di crescere un futuro leader politico gli affidò consulte giovanili, gestione di campi sportivi fino a farlo nominare novello assessore nella prima giunta Sorbello. Sbona non aveva capito che il giovane voleva essere sistemato alla ISAB e siccome di tempo, secondo Carta, ne era passato troppo, questi tradendo Sbona si avvicinò a Sorbello, venendo accontentato.
La ISAB tutto di un tratto si accorse delle grandi specializzazioni e competenze del Carta, ed improvvisamente lo assunse. Nel breve, questo novello politico, in virtù di 2 tradimenti, collezionò visibilità politica, soldi e sistemazione.
Minchia quanta bravura, minchia quanta competenza. Per noi, minchia due volte, quanta ingratitudine del ragazzo, nel frattempo cresciuto e abituato al salto del fosso. Oggi si rifiuta di stare nel gruppo che lo ha fatto diventare mulo, abbandonandosi ai più loschi traccheggi pur di rimanere in piedi e con mani in pasta.
Una volta si strofina con uno, una volta con un altro. Insomma, il rampollo vuole alzare continuamente il prezzo, allontanandosi una volta da Sorbello ed un’altra volta avvicinandolo, ed un’altra volta ancora avvicinandosi al sindaco Rizza di Priolo e un’altra volta al sindaco Cannata.
Il consiglio che ci permettiamo di dare a chi lo ha fatto diventare mulo è: “Lascialo ragliare e scalciare. Tieniti alla lontana il più possibile finché stanco non si accorgerà di un muro di cemento che ha di fronte, ed a furia di scalciare si romperà gli zoccoli, restando stremato a terra trasformerà il suo raglio in un rantolo. La gente passando non avrà compassione e lo additerà deridendolo per la sua stoltezza. Resterà solo e pazzo credendosi ancora un mulo incompreso”.
“Chi tratta un somaro come se fosse un mulo (che chiaramente ha più valore nella nostra tradizione) si becca il primo calcio”.
Questa frase mi ronza nel cervello da un bel po’ e chissà a quanti di noi è capitato di sopravalutare qualcuno, di farlo sentire importante, aiutarlo come si poteva e poi ricevere in cambio solo cattiverie.
Il somaro in preda ad un delirio di onnipotenza scalcia a mai finire ed il primo calcio colpisce proprio te, poi ti accorgi che ha scalciato con intenzione. A che serve a questo punto ripensare a quello che si è fatto per lui?
Il fieno più profumato, carichi portati sulle nostre spalle per risparmiare lui, tutto inutile. Ha colpito forte e con cattiveria. A te rimane solo leccarti le ferite e darti dello scemo. Poi si pensa di reagire e di fare un bel tamburo con la pelle di quel somaro e si diventa cattivi e vendicativi.
E così si apre una faida infinita. Si lega il somaro con una bella corda, ma il somaro ha amici che riescono a slegarlo e così torna a scalciare, mentre tu nel contempo mediti un’altra vendetta. Ma non finirà mai.
La metafora della quale parliamo quante volte è successa in politica? Tantissime volte. E tantissime volte hanno avuto sembianze sparute, piccoli uomini vicini a veri potenti che si sentivano potenti anch’essi. Parliamo di gente meschina abituata al tradimento e qui a Melilli, purtroppo, ne risiedono in tanti.
La vicenda politica che ha caratterizzato gli ultimi avvenimenti succeduti all’interno del palazzo di vetro più somigliante ad un pastificio con relativo padrone, in questo periodo ne ha smascherato tanti, iniziando proprio dal padrone del pastificio, alias Cannata, per finire con lo sceccu della metafora, Peppe Carta. Aveva meno di 20 anni quando cominciò a frequentare la politica aggrappandosi alle vesti dell’on. Iano Sbona, il quale pensando di crescere un futuro leader politico gli affidò consulte giovanili, gestione di campi sportivi fino a farlo nominare novello assessore nella prima giunta Sorbello. Sbona non aveva capito che il giovane voleva essere sistemato alla ISAB e siccome di tempo, secondo Carta, ne era passato troppo, questi tradendo Sbona si avvicinò a Sorbello, venendo accontentato.
La ISAB tutto di un tratto si accorse delle grandi specializzazioni e competenze del Carta, ed improvvisamente lo assunse. Nel breve, questo novello politico, in virtù di 2 tradimenti, collezionò visibilità politica, soldi e sistemazione.
Minchia quanta bravura, minchia quanta competenza. Per noi, minchia due volte, quanta ingratitudine del ragazzo, nel frattempo cresciuto e abituato al salto del fosso. Oggi si rifiuta di stare nel gruppo che lo ha fatto diventare mulo, abbandonandosi ai più loschi traccheggi pur di rimanere in piedi e con mani in pasta.
Una volta si strofina con uno, una volta con un altro. Insomma, il rampollo vuole alzare continuamente il prezzo, allontanandosi una volta da Sorbello ed un’altra volta avvicinandolo, ed un’altra volta ancora avvicinandosi al sindaco Rizza di Priolo e un’altra volta al sindaco Cannata.
Il consiglio che ci permettiamo di dare a chi lo ha fatto diventare mulo è: “Lascialo ragliare e scalciare. Tieniti alla lontana il più possibile finché stanco non si accorgerà di un muro di cemento che ha di fronte, ed a furia di scalciare si romperà gli zoccoli, restando stremato a terra trasformerà il suo raglio in un rantolo. La gente passando non avrà compassione e lo additerà deridendolo per la sua stoltezza. Resterà solo e pazzo credendosi ancora un mulo incompreso”.
CU DI ‘N SCECCU NI FA UN MULU U PRIMU CAUCIU E’ DO SO’